sabato 31 ottobre 2009
Aspetti generali sui metodi di valutazione
Per "valore" dell'azienda intendiamo il valore dell'intero capitale economico aziendale, cioè, a livello contabile, il valore dell'insieme del capitale sociale e delle riserve (Equity Value). Tale valore corrisponde alla differenza tra il valore complessivo dell'azienda, inclusivo del suo avviamento (Enterprise Value) ed il valore corrente dei mezzi finanziari di terzi (Net Financial Debt).
La dottrina aziendalistica e la prassi di mercato hanno sviluppato molti diverse metodologie di valutazione. In funzione delle finalità di ogni valutazione si adotteranno le metodologie più idonee.
Il valore del capitale economico può essere definito "generale" e “stand alone” e viene stimato sulla base di considerazioni economiche oggettive.
Può essere differente al prezzo che un dato momento il mercato di borsa o la negoziazione tra cedente ed acquirente può attribuire al capitale dell'azienda sulla base di particolari situazioni congiunturali, forza contrattuale, sinergie industriali od altre considerazioni strategiche esterne all'azienda che viene acquisita. In tali casi è più opportuno ricorrere a metodologie che permettano di stimare il valore attribuibile da ogni specifico acquirente.
L'impostazione generale della valutazione “Stand Alone” fa oggi spesso riferimento all'Impairment Test introdotto dallo IAS 36 che stabilisce che ogni attività possa essere contabilizzata a bilancio ad un valore che risulti congruo rispetto al valore del suo potenziale realizzo di mercato ed al valore di utilizzo basato sui flussi di cassa che tale asset genera per il suo detentore.
Nell'ambito di tale schema generale esistono peraltro molteplici metodologie di valutazione, che vengono scelte in base alla tipologia degli assets e dei diversi settori industriali.
Le principali sono il metodo patrimoniale, il metodo reddituale, i metodi finanziari, i metodi di mercato. In ogni settore industriale infine si sono sviluppati metodi empirici basati su una o più elementi caratteristici propri del settore, che permettono di stimare un valore in modo veloce ancorchè molto approssimativo.
Il metodo patrimoniale
Attraverso il metodo patrimoniale si vuole esprimere il valore dell'azienda oggetto di valutazione come differenza tra gli elementi attivi e passivi che compongono il suo patrimonio.
Per valutare le attività si utilizzano tre diverse tipologie di valutazione: la valutazione patrimoniale semplice (sono oggetto di valutazione solo i beni materiali presenti nel patrimonio aziendale), la valutazione patrimoniale complessa di primo grado (oltre ai beni materiali si considerano come componenti della valutazione anche i beni immateriali aventi un valore di mercato); la valutazione patrimoniale complessa di secondo grado (vengono considerati tutti i beni aziendali, materiali o immateriali ed aventi o meno un valore di mercato).
Per le passività si ricalcola il valore il valore corrente di tutti i debiti, l'adeguatezza del fondo TFR e l'impatto di eventuali passività, quali quelle tributarie, non esposte in bilancio.
La valutazione patrimoniale, qualunque essa sia, si sviluppa in diverse fasi:
- Si ricalcola il capitale netto di bilancio, l'insieme quindi del capitale sociale, delle riserve e dell'utile corrente al netto delle somme che saranno distribuite quali dividendi e delle imposte differite sui fondi accantonati;
- Si rettificano, se necessario, i valori degli elementi attivi non numerari, ripristinando attraverso plusvalenze e minusvalenze il loro effettivo valore di mercato. E' prassi ridurre il valore delle plusvalenze e delle minusvalenze dell'onere fiscale potenziale che risulterebbe da una rivalutazione effettiva delle poste di bilancio. Tale onere fiscale normalmente si calcola in una aliquota ridotta. In questa fase si renderà inoltre necessario analizzare che le attività e le passività siano state contabilizzate in modo corretto, che gli accantonamenti rispondano realmente al criterio di competenza. In riferimento alla valutazione dei crediti sarà opportuno verificare la congruità del Fondo rischi.
Esistono diverse tecniche per determinare il valore di mercato dei beni patrimoniali. L'utilizzo di una tecnica rispetto alle altre dipende dalla tipologia di bene e dall'esistenza o meno di un valore di mercato. Possiamo dividere i metodi di valutazione dei singoli beni in:
- metodo del costo: si basa sul valore di rimpiazzo del bene, cioè del prezzo che l'acquirente dovrebbe pagare per assicurarsi il bene al di fuori dell'azienda. Questo valore dovrà naturalmente essere diminuito in base all'obsolescenza del bene. E' il metodo più appropriato per beni di non vasta diffusione, a volte unici e quindi privi di un prezzo di corrente;
- metodo del mercato: il valore del bene é considerato pari a quello di beni simili la cui compravendita sia sufficientemente diffusa da definirne un prezzo di mercato. Anche in questo caso e' naturale una decurtazione del valore in base all'utilizzo del bene;
- metodo del reddito: si considerano i redditi attesi futuri che il bene potrà generare e si determina il valore mediante una loro attualizzazione. Si usa sovente dove, per cause transitori di compravendita, il mercato non valorizza sufficientemente il valore del bene.
E' da rilevare come la determinazione del valore finale del bene risulti dall'utilizzo di più tecniche valutative. Ad esempio, il valore stimato di una immobilizzazione tecnica non può essere superiore al costo di rimpiazzo o inferiore al valore di liquidazione del cespite.
In conclusione, secondo tale metodologia il valore di una azienda risulta dalla somma di tutti gli elementi patrimoniali a valori correnti, sia che essi abbiano natura attiva che passiva. Il vantaggio del criterio patrimoniale è l'obiettività di valutazione. E' però da rilevare come tale obbiettività vada diminuendo progressivamente quando si passa dalla valutazione di beni materiali iscritti a bilancio, alla valutazione di beni immateriali.
In un giudizio critico di questa metodologia è da rilevare come tale criterio difficilmente possa essere esaustivo nella determinazione del valore aziendale. Il criterio patrimoniale infatti dà una visione statica dell'azienda tralasciando completamente quella che è la capacità reddituale della stessa: questo criterio di valutazione deve essere quindi affiancato da una analisi reddituale.
Il metodo reddituale
1. la definizione della relazione che lega il valore dell'azienda al reddito atteso;
2. la determinazione del reddito;
3. la determinazione del tasso di capitalizzazione.
1. la relazione che normalmente lega il valore dell'azienda al reddito atteso é una funzione di capitalizzazione della serie dei redditi futuri attesi attualizzati. Essa si esprime come:
W = R / i
La formula di attualizzazione ha forma differente in funzione dell'intervallo temporale che si considera nell'analisi e del tasso di crescita dei redditi R: se l'orizzonte temporale è infinito si usa la funzione del valore attuale di una rendita perpetua; se l'orizzonte temporale è limitato si usa la funzione del valore attuale della rendita annua posticipata di durata pari ad "n" anni. Se si suppone un tasso di crescita infinita dei redditi R si utilizza la funzione di capitalizzazione perpetua (Gordon Model).
2. Nella determinazione dei flussi di reddito attesi si tenga presente che:
- il reddito deve essere "normale", non deve cioè configurare componenti eccezionali la cui ripetizione non sia accertabile. Una possibile determinazione dei redditi è calcolare separatamente i redditi attesi dalla gestione corrente e considerare separatamente i redditi, di più incerta previsione, formatasi in gestioni accessorie;
- il reddito deve essere stabile. Proprio perché attraverso questo criterio di valutazione si correla il valore dell'azienda all'attesa di redditi futuri, una azienda avente attività discontinua non permetterebbe di raggiungere risultati di valutazione soddisfacenti;
- il reddito deve inoltre essere al netto delle imposte, degli oneri finanziari e della rimunerazione dell'attività svolta dall'imprenditore se agisce all'interno dell'azienda;
- il reddito dovrà essere nominale o reale, coerentemente al tasso di capitalizzazione utilizzato al netto (reale) o al lordo (nominale) dell'inflazione. Se si sceglie per un reddito reale si dovrà adeguare le quote d'ammortamento ai valori di mercato ed utilizzare il metodo LIFO nella valutazione delle rimanenze.
3. Il tasso di capitalizzazione riflette la rimunerazione attesa per investimenti non soggetti a rischio, più una percentuale per il rischio connesso a quella specifica attività produttiva.
La quantificazione del rischio rimane uno fra gli elementi più complessi nell'intera valutazione. Fra i possibili criteri per la sua determinazione i più diffusi sono il criterio del tasso opportunità e il criterio del costo dei capitali. Secondo il tasso opportunità, il premio per il rischio dovrà essere pari ai rendimenti offerti da altre aziende operanti nello stesso settore e sufficientemente omogenee all'azienda valutata. Il criterio del costo dei capitali calcola invece il tasso di capitalizzazione come quel tasso che riflette il costo medio dei capitali impiegati dall'azienda.
In conclusione, i metodi reddituali considerano l'azienda come una unità di creazione di reddito e quindi il valore aziendale si definisce in base alla redditività futura attesa dai soci.
Il criterio reddituale risponde pienamente alla richiesta dell'investitore interessato a conoscere il rendimento economico del proprio investimento. Esso permette inoltre una corretta valutazione di tutte quelle imprese che a fronte di buone capacità di crescita reddituale abbiano elementi patrimoniali non elevati.
Se è evidente la superiorità teorica del criterio reddituale rispetto a quello patrimoniale è da rilevare come il reddito atteso futuro possa essere determinato solo soggettivamente. L’adozione di tale metodo in sede di perizia richiede quindi evidente cautela.
I metodi misti
Tra i possibili metodi di sintesi dei valori patrimoniale e reddituali, la metodologia tradizionalmente più utilizzata è il metodo della capitalizzazione limitata del sovrapprofitto medio. Esso si esprime nella somma del valore del capitale netto rettificato e dell'eventuale avviamento positivo (Goodwill) o negativo (Badwill).
In formula:
W = K + ( R - i * K ) * a n!i'
Vediamone i singoli elementi:
· K = capitale netto rettificato;
· R = reddito netto atteso normalizzato
· i = tasso d'interesse "normale" rispetto all'investimento considerato
· i' = tasso di attualizzazione del sovrareddito
· n = numero definito e limitato di anni pari alla durata prevista del "sovra" o "sotto" profitto.
I valori di "K" e "R" sono analoghi a quelli calcolati nei metodi precedenti. I
n riferimento agli altri elementi consideriamo che il valore di "n" é pari all'aspettativa di avere sovrapprofitti rispetto alla capacità media reddituale del settore. Tale valore é limitato perché è ragionevole supporre che i sovrapprofitti non possano durare a tempo indefinito. I
l valore di "i" esprime il rendimento giudicato soddisfacente rispetto al rischio aziendale e del settore; "i'" é il tasso di attualizzazione e rappresenta il valore finanziario del trascorrere del tempo che non dipende dal rischio aziendale ma si ricollega a parametri finanziari.
Una variante di questo metodo é considerare la presenza dei sovrapprofitti come illimitata nel tempo. In questo caso si rende opportuno assumere un più elevato tasso di capitalizzazione "i'" così da diminuire il peso dei sovrapprofitti più lontani, la cui realizzazione è meno prevedibile.
In conclusione, con i sistemi misti patrimoniali-reddituali si è voluto attenuare le deficienze dei singoli metodi combinando l'obiettività del metodo patrimoniale con la validità concettuale del metodo reddituale. I metodi misti, anche se risultano da una sintesi dei sopravisti criteri, non si esauriscono in una semplice media dei valori risultanti dagli stessi ma elaborano delle metodologie per correggere il valore patrimoniale rispetto alla futura capacità reddituale dell'azienda.
I metodi finanziari: il DCF
La motivazione economica di questo metodo si basa su tre considerazioni:
- il rendimento per l'azionista é composto dai dividendi e dal Capital gain. Questo si realizza se il mercato ha aspettative di miglioramenti aziendali ed incremento di dividendi;
- dipendenti, fornitori, finanziatori ed azionisti vantano diritti ed aspettative cui l'azienda fa fronte tramite i propri flussi di cassa;
- l'azienda può far fronte a queste uscite finanziarie generando Cash Flow internamente o ottenendo finanziamenti sulla base della propria capacità di ripagarli.
La formula che lega il valore dell'azienda ai flussi di cassa é pari a:
W = V - P con: V = S CFt + VF
· W = valore del capitale (Equity Value);
· V = Totale valore azienda (Value of Capital Employed);
· P = passività nette (Value of Debt);
· CFt = flussi di cassa nel periodo analizzato;
· VF = Terminal Value
Nella determinazione del Valore totale dell'azienda si distingue il calcolo dei flussi di cassa attesi stimati anno per anno, dal Valore attuale del Terminal Value.
I flussi di cassa che verranno scontati sono calcolati sottraendo al Cash Flow operativo (utili più ammortamenti) gli investimenti in capitale fisso e circolante necessari ogni anno per mantenere invariata la struttura finanziaria aziendale.
I flussi cosi determinati (Free Cash Flow to the firm) rappresentano una misura della generazione di cassa disponibile all'azienda per ripagare i finanziatori, remunerare gli azionisti od effettuare nuovi investimenti.
Il "Terminal Value" corrisponde al valore previsto dell'azienda all'anno "n", ultimo anno del quale sono calcolati i flussi monetari attesi. L'ipotesi sottostante al calcolo del Terminal Value é la convinzione che dopo un dato periodo di anni i flussi di cassa raggiungono un livello di equilibrio e essendo stabili possano essere espressi attraverso un valore sintetico.
Il Valore totale dell'azienda é pari alla somma dei flussi di cassa fino all'anno "n" più il Terminal Value.
Il tasso di sconto deve riflettere il costo del capitale dell'azienda. Questo tasso é la media ponderata del tasso di interesse pagato ai finanziatori ed del costo figurativo dei mezzi propri, calcolato tramite la formula del Capital Asset Pricing Model (CAPM).
Poiché i flussi di cassa sono stati calcolati al netto dell'imposizione fiscale dell'azienda, i tassi di sconto devono essere calcolati netti.
Il CAPM determina il costo del capitale in funzione del tempo e del rischio. L'elemento tempo è calcolato sulla base del rendimento ottenibile da un investimento a rischio nullo o minimo, come un titolo di stato. L'elemento rischio è calcolato come premio percentuale richiesto dall'investitore per investire in un titolo azionario anziché in un titolo di stato.
La rischiosità specifica dell'azienda o del settore in cui l'azienda opera è determinato dal coefficiente Beta.
Riassumendo la formula del CAPM è la seguente:
Re = Rf + B * ( Rm - Rt )
con:
Re = costo del capitale;
Rf = tasso di rendimento titoli senza rischio;
B = coefficiente Beta;
Rm = tasso di rendimento atteso dal mercato azionario.
In conclusione, secondo i metodi finanziari è possibile determinare il valore aziendale attualizzando i flussi di cassa che l'impresa realizzerà in un periodo futuro, periodo della durata generalmente di 5-10 anni. Il risultato di tale metodologia sarebbe uguale a quello reddituale solo se si verificasse una improbabile coincidenza tra flussi di cassa e redditi netti.
I metodi di mercato: Price Multiples
Nella prassi sono comuni due differenti metodi:
1. il raffronto con operazioni di compravendita effettuate per aziende simili;
2. il raffronto con il prezzo di borsa di aziende comparabili e appartenenti allo stesso settore d'attività.
Il primo metodo può essere utilizzato esclusivamente in quei settori ove si é avuto in un recente passato un numero sufficientemente amplio di compravendite. E' altresì necessario che nel settore si abbiano aziende sufficientemente omogenee come struttura e dimensioni.
Il confronto con aziende quotate è di comune prassi in mercati finanziari con un amplio listino di borsa. I confronti internazionali richiedono inoltre un lavoro di rielaborazione dei dati contabili per armonizzare le politiche di ammortamento e rivalutazione dei cespiti nonché diverse aliquote di imposizione fiscale.
Il raffronto viene effettuato sulla base di moltiplicatori di aspetti caratteristici dell'azienda. Rispetto alle imprese industriali gli indici più diffusi sono quelli reddituali:
·Price/Earning = il rapporto tra il prezzo e l'utile per azione;
·Price/Cash Flow = il rapporto tra il prezzo e il Cash Flow per azione;
·EV/Ebit = il rapporto tra il prezzo + il totale dell'indebitamento (Enterprise Value) e l'utile corrente ante oneri finanziari.
·EV/Ebitda = il rapporto tra il prezzo + il totale dell'indebitamento e l'utile corrente ante oneri finanziari ed ammortamenti di immobilizzazioni materiali ed immateriali
Altri moltiplicatori di uso diffuso hanno per riferimento l'attività caratteristica del settore: così ad esempio, l'ammontare delle riserve di greggio per una società petrolifera, i premi emessi da una compagnia di assicurazione, la massa intermediata e il numero di sportelli di un'azienda di credito, ecc.
Un approccio dinamico alla valutazione tramite multipli è il Price Earnings Growth (PEG): il confronto non viene effettuato solamente sulla base dei risultato economici dell’anno passato o in corso ma piuttosto sulla previsione di redditività a tre/cinque anni. Ciò permette di cogliere le evidenti differenze tra aziende che, a parità di redditività attuale, mostrano un diverso trend di sviluppo.
Il vantaggio innegabile di questi metodi è il limitato numero di variabili in uso e quindi la semplicità di utilizzo e l’immediatezza dei risultati. Peraltro questi metodi abbinano imprecisioni a volte rilevanti.
Un metodo reddituale - finanziario: l'EVA
Il valore dell’azienda è calcolato sulla base del capitale investito più la capacità di creare un valore incrementale, mediante la creazione di un reddito maggiore rispetto alle aspettative di reddito medie del settore. EVA è quindi la differenza tra il ritorno attuale e quello aspettato, moltiplicata per il capitale investito.
Il valore di una società è considerato pari al capitale investito più la somma di tutti i futuri EVA attualizzati. Quindi:
EV = CI + (Somma EVA attualizzati)
EV = Enterprise Value
CI = Capitale Investito
È calcolato come media dei valori di fine anno e formato da mezzi propri e mezzi finanziari apportati da terzi;
La formula utilizzata per il calcolo della somma EVA attualizzati è la seguente:
EVA = (ROIC - Wacc) * CI
ROIC = return on invested capital = NOPAT / IC
NOPAT = Net Operating Profit After Taxes, si tratta del reddito operativo netto, depurato cioè della componente fiscale (meglio figurativa se si tratta di flussi previsionali)
Il WACC = Weighted Average Cost of Capital, come già visto, è il costo medio ponderato del capitale, ovvero il rendimento medio atteso dal mercato per aziende di un determinato settore industriale.
EVA Spread è la differenza tra rendimento reale (ROIC) e rendimento atteso (WACC).
Anche l’EVA Value, ovvero il maggior valore generato dall’azienda rispetto al valore medio atteso dal settore, viene calcolato su base aritmetica perpetua e viene attualizzata ad oggi per tenere conto del valore del denaro nel tempo. Al valore globale calcolato vengono infine dedotti i mezzi finanziari di terzi per ottenere il valore del capitale economico.
Per quanto l’EVA analizzi la creazione di reddito rispetto al metodo DCF che analizza anche la generazione di cassa, è evidente l’analogia matematica trai due metodi, che non devono quindi essere abbinati per evitare valutazioni tautologiche.
I metodi di valutazione: l'Impairment Test
Il test di Impairment
Il test di Impairment nella valutazione delle attività, introdotto dal principio contabile internazionale IAS 36, definisce che ciascun asset dell'azienda sia iscritto in bilancio ad un valore non superiore a quello cosiddetto recuperabile, inteso come il valore che può essere ottenuto dall'utilizzo di tale asset o dalla sua vendita sul mercato. Il test si sviluppa mediante la stima di due valori, il “Fair Value less Costs to Sell” ed il “Value in Use”.
Entrambi i valori hanno una stretta dipendenza dai flussi che la società partecipata é in grado, in prospettiva, di generare ed hanno un significativo radicamento nelle condizioni di mercato al momento della stima. Il Test di Impairment attualmente rappresenta la schema di riferimento rispetto al quale si adottano i diversi metodi di valutazione di attività in ipotesi “stand alone”..
Riguardo i principi che ispirano la stima di ciascuno dei due valori alcuni aspetti salienti sono:
Fair Value less Costs to Sell (= Valore di realizzo)
E' l'ammontare ottenibile dalla cessione sul mercato di tale asset al netto dei costi di dismissione. Riflette quindi le attese del mercato, così come espresse e sintetizzate nel prezzo che un generico investitore sarebbe disposto a pagare in quel momento per quell'asset in una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili. La metodologia applicabile fa riferimento ad eventuali accordi di vendita o ai prezzi rilevabili su un mercato attivo per tale asset o, in mancanza di questi, é stimato in base a tecniche di valutazione che utilizzano il confronto con recenti transazioni aventi per oggetto asset comparabili con l'oggetto della valutazione.
Value in Use (= Valore di utilizzo)
Calcola il valore di utilizzo dell'asset come valore attuale dei flussi di cassa che il detentore ritiene che tale asset genererà nel futuro. Valorizza quindi le previsioni di flussi attesi formulate dal soggetto che detiene l'asset. E' un valore specifico, determinato in funzione delle conoscenze e delle attese di un definito detentore. La metodologia applicabile é quella dell'Unlevered Discounted Cash Flow, con tutte le indispensabili cautele nella stima dei flussi attesi da parte del management e nella tecnica di attualizzazione.
Il confronto tra valori
L'Impairment test non esprime alcuna preferenza tra i due valori così calcolati ma stabilisce che i valori di iscrizione dell'asset a bilancio sono congrui se non sono superiori alternativamente o al valore di utilizzo o al valore di realizzo.
Cap 1 Le tipologie di analisi di bilancio
Il bilancio di esercizio è il principale strumento con cui ogni anno possiamo capire lo stato di salute di un’azienda, la nostra e le altre. E’ composto da una relazione del consiglio di amministrazione sull’andamento della gestione, da uno stato patrimoniale, da un conto economico e da dettagli allegati. Le aziende meglio organizzate redigono anche il rendiconto finanziario.
Il conto economico ci illustra com’è stato l’andamento dell’ultimo anno rispetto al precedente e quale é stato l’utile o la perdita dell’esercizio. Lo stato patrimoniale ci illustra che cosa l’azienda possiede, in beni e crediti, alla data di fine anno e quanti debiti ha e con chi. Il rendiconto finanziario illustra i flussi finanziari in entrata ed uscita.
L’analisi di bilancio fornisce degli strumenti (tabelle di riclassificazione e indici di bilancio) su come si leggono ed interpretano i dati finanziari inseriti in un bilancio. Anziché fornire un panorama di tutte le analisi finanziarie possibili, noi cercheremo di identificare quali sono gli aspetti veramente importanti nell’analisi di un’azienda e per ciascuno cercheremo di trovare gli indicatori adatti a rappresentarlo e misurarlo.
In sintesi seguiremo questo processo:
Dal conto economico cercheremo di capire quanto l’azienda é redditizia nello svolgere la sua attività caratteristica, sia in valore assoluto che rispetto a quanto otteneva negli anni passati e rispetto alle aziende concorrenti del suo settore.
Vedremo quindi se la redditività dell’attività caratteristica é aumentata o viene assorbita da altre attività collaterali o da eventi straordinari che sono accaduti nell’anno considerato ma che di norma dovremmo ritenere che non si manifesteranno nuovamente. L’utile netto dell’esercizio sarà inoltre condizionato dagli oneri finanziari che l’azienda corrisponde ai finanziatori e dal carico fiscale.
Dallo stato patrimoniale cercheremo di capire quanti capitali sono stati investiti nell’azienda e come questi investimenti sono ripartiti tra attività fisse, come immobili e macchinari, ed attività a breve termine, come crediti verso clienti e magazzino. Osserveremo anche quali sono le fonti finanziarie, ad esempio debiti verso le banche o versamenti effettuati dai soci, a cui l’azienda attinge per effettuare i suoi investimenti
Dal confronto dei cambiamenti nello stato patrimoniale tra un anno ed il successivo otteniamo il rendiconto finanziario, cioé uno schema di flussi di cassa che ci permette di capire in ogni anno quali nuovi fondi sono stati utilizzati e come.
Da questa base complessiva potremo quindi trarre delle considerazioni generali utilizzando degli indici incrociati, che ci permetteranno di capire tra l’altro se l’azienda fa un buon utilizzo delle risorse che utilizza, se cioè la redditività é più o meno adeguata rispetto alla quantità di capitali che l’azienda ha investito e se l’azienda attinge a risorse di capitale e di debito in modo proporzionato ed adatto alla sua attività.
Orizzonte temporale e schemi di analisi più idonei
Le metodologie di analisi di bilancio illustrano molti schemi di riclassificazione e molti indici finanziari diversi. Noi ne vedremo solamente alcuni e cercheremo di utilizzarli in modo mirato alle specifiche necessità della nostra analisi.
Il primo aspetto per decidere su quale elementi dobbiamo focalizzare la nostra attenzione è ripensare alla finalità della nostra analisi. Vediamo con alcuni esempi:
- se siamo risparmiatori potenzialmente interessati ad acquistare le azioni della società, o le abbiamo già in portafoglio, guarderemo con particolare interesse alla sua redditività cioè agli utili della società ed ai suoi dividendi;
- se siamo dipendenti guarderemo a quanto la società è ben capitalizzata ed ha mezzi finanziari per investire e crescere;
- se siamo finanziatori guarderemo alla capacità della società di far fronte al carico di oneri finanziari che deve corrispondere sul nostro finanziamento ed alla capacità della società di rimborsarlo alla sua scadenza;
- se infine vogliamo capire di più della nostra azienda, guarderemo alla redditività dei diversi tipi di prodotti, o di diversi unità di produzionei o di diversi mercati di sbocco, applicheremo quindi i principi di analisi di bilancio alle singole aree (le business units) anziché all’intera azienda.
Ad esempio, se la società vende un immobile è un elemento positivo o negativo? Se l'azienda deve rimborsare finanziamenti e non ha più risorse finanziarie e vende l’immobile per far fronte a quest’impegno possiamo considerare questa cessione in modo favorevole e tranquillizzante. Forse non daremmo lo stesso giudizio come dipendenti o investitori di lungo periodo!
I flussi di cassa: generazione di cash flow dalla gestione o dagli assets
Nell’analisi degli aspetti finanziari, come ad esempio la capacità di far fronte ai debiti con il sistema bancario, un aspetto importante è capire se l’azienda genererà i fondi per ripagare i finanziamenti con il suo reddito (cioè con il suo cash flow) o liquidando qualche suo bene (cioè con i suoi assets, con le proprie attività). La differenza è infatti notevole.
L’azienda liquida il finanziamento con i suoi assets tutte le volte in cui l’azienda acquisisce qualche attività che le serve momentaneamente ma che verrà immediatamente rivenduta; non appena è rivenduta il finanziamento viene ripagato.
Questo accade per un costruttore che allestisce un palazzo per rivendere gli appartamenti, per un’azienda commerciale che acquista prodotti all’estero per rivenderli in Italia, per una società di leasing che chiede un finanziamento per poter a sua volta effettuare un’operazione di leasing con un proprio cliente.
In tutti questi casi il motivo del finanziamento è poter effettuare un’operazione industriale o commerciale che produce da sola la liquidità per estinguere il finanziamento. Diciamo che è “autoliquidante”.
Diverso è il caso in cui il finanziamento, pur avendo una sua motivazione industriale, non è autoliquidante: un finanziamento ad un’azienda per costruire un nuovo impianto industriale non viene ovviamente ripagato alla cessione dell’impianto ma dovrà essere ripianato gradualmente nel tempo grazie al maggior cash flow che verrà generato grazie al nuovo impianto.
Cosa cambia nella nostra analisi?
Nel caso di finanziamenti autoliquidanti, è importante strutturarli in modo idoneo rispetto alle fonti di liquidità: guarderemo ceduti, al valore che avranno, al tempo necessario per cederli, ecc. Nell’analisi di bilancio sarà cioè particolarmente importante studiare gli elementi patrimoniali.
Se invece la fonte di ripianamento del finanziamento sarà la capacità di creare una maggiore redditività, l’elemento più importante sarà l’analisi della redditività del conto economico e la generazione di cassa nel rendiconto finanziario.
Business Risk e Financial Risk
Il giudizio che deriviamo dall’analisi di bilancio può essere diverso per aziende con indici di bilancio sostanzialmente simili. Questo accade ogni volta in cui è diversa la rischiosità dell’attività dell’azienda.
L’impresa affronta rischi connessi al suo mercato, ai concorrenti, ai prodotti: nell’insieme affronta rischi ed opportunità legate alla sua attività caratteristica, legate al suo tipo di business.
In mercati fortemente competitivi, internazionali ed aperti all'innovazione tecnologica vi sono maggiori opportunità di successo rispetto a settori industriali tradizionali. Ma ci sono anche maggiori rischi.
Analogamente la stessa azienda può decidere di finanziare la propria attività con molti mezzi propri, investiti in forma di capitale dai propri azionisti, e con pochi finanziamenti bancari o viceversa, con pochi mezzi propri e molti debiti. I finanziamenti esterni aumentano i mezzi finanziari ed i soci possono perseguire più opportunità di sviluppo.
Più aumenta la quota dei finanziamenti più aumenta però il rischio finanziario: infatti un rialzo dei tassi di interesse rende i finanziamenti più costosi di quanto l’azienda ha preventivato; l’obbligo di ripagare i finanziamenti può influire sulle decisioni di effettuare nuovi investimenti per lo sviluppo.
Possiamo concludere che ci aspettiamo che un’azienda che già affronta alti rischi legati al proprio business preferisca operare con pochi debiti e limitare i rischi finanziari, mentre un’azienda con un rischio di business più limitato possa permettersi una struttura finanziaria più aggressiva.
Modellare l’analisi finanziaria in funzione delle nostre finalità
In conclusione, nell’analisi di bilancio cercheremo di capire la sua capacità dell'azienda di generare reddito e di creare flussi finanziari positivi, studiando la quantità di risorse che l’azienda impiega e l’efficienza nel loro utilizzo ed analizzando la struttura delle fonti finanziarie con cui l’azienda ha acquisito le sue attività. Cercheremo inoltre di capire come tutti questi aspetti sono correlati tra loro.
Nel corso dell’analisi seguiremo uno schema generale adatto a qualsiasi situazione: sappiamo però che ogni volta dovremo approfondire alcuni aspetti dell’analisi a seconda se vogliamo guardare ad un orizzonte temporale di lungo periodo e ci basta guardare al breve, a seconda se l'azienda genera cassa dal reddito della gestione o dagli assets ed in funzione della rischiosità del business dell’azienda e dell'esposizione sia al business risk che al financial risk.
Cap 2 Il conto economico: voci e struttura
Le voci del conto economico
Il conto economico illustra tutti i ricavi ed i costi di un’azienda nell’arco di un determinato periodo. In sintesi è così strutturato:
1 Ricavi del periodo 150
2 - Costi del periodo -110
3 = Utile Operativo 40
4 - Costi finanziari -6
5 +/- Proventi ed oneri straordinari -4
6 - Imposte e tasse -12
7 = Utile o perdita 18
Il conto economico descrive i flussi dei costi e dei proventi che si sono manifestati in un determinato periodo di tempo:
In una prima sezione (riga 1 e 2 ) vengono inseriti i ricavi ed i costi inerenti la gestione caratteristica dell’azienda, cioè quei ricavi e quei costi che sono tipici dell’attività che viene svolta dall’azienda e che verosimilmente sono ricorrenti tutti gli anni e sono simili tra aziende che svolgono la stessa attività. L’utile operativo (riga 3) è la differenza trai ricavi ed i costi di un intero anno e quindi misura quanto l’azienda guadagna nell’anno con la sua attività caratteristica.
Gli altri costi (eventualmente anche altri proventi) sono stati invece suddivisi in voci diverse (4,5 e 6) proprio perché rappresentano eventi da analizzate separatamente rispetto all’attività caratteristica: i costi finanziari sono gli interessi ed i costi dei finanziamenti e dipendono dall’entità dei debiti e dai tassi di interesse; proventi ed oneri straordinari sono tutti quegli eventi che hanno prodotto proventi o costi in quest’anno ma che consideriamo non ricorrenti nell’attività di questa azienda; le imposte e tasse dipendono dalle politiche fiscali del paese nel quale opera l’azienda.
I bilanci pubblicati dalle società in Italia seguono l’impostazione del nostro schema semplificato, naturalmente con maggiori dettagli. Lo schema dei bilanci è standard, quindi riporta delle voci generali come “acquisti” o “servizi” senza spiegare che cosa l’azienda ha acquistato. Possiamo trovare maggiori dettagli e spiegazioni negli allegati al bilancio.
Schemi di riclassificazione in funzione dell’attività aziendale
Se in generale tutti gli schemi di riclassificazione seguono l’impostazione che abbiamo visto, l’applicazione a attività economiche particolari richiede schemi più specifici.
Per un’azienda manifatturiera è utile identificare i costi della produzione rispetto a quelli commerciali ed a quelli generali; per un supermercato è invece più utile calcolare il margine di reddito commerciale che ottiene rivendendo al pubblico i prodotti che ha acquistato dai produttori e poi sottrarre tutti i costi della struttura, come l’affitto dei locali ed il costo del personale.
La stessa logica ci porta a schemi molto diversi quando vogliamo studiare aziende del settore finanziario, come banche ed assicurazioni o aziende con attività particolari, come le imprese che progettano e realizzano grandi opere civili o tecnologiche, società di sevizi o società di ricerca.
Noi focalizziamo l’analisi su aziende manifatturiere e commerciali, tipiche della realtà industriale Italiana.
Presentazione di un primo schema semplificato
Il conto economico nei bilanci delle società italiane è redatto secondo uno schema standard così composto:
Conto Economico
A Valore della produzione, composto da:
Ricavi dalle vendite di prodotti e servizi
Aumento delle rimanenze di prodotti
Capitalizzazione di spese effettuate per lavori interni
Altri proventi
B. Costi della produzione, composto da:
Acquisti
Servizi
Godimento beni di terzi
Costi del personale
Ammortamenti
Accantonamenti
Oneri diversi
C. Proventi ed oneri finanziari
Proventi da partecipazione
Proventi finanziari
Interessi ed oneri finanziari
D. Rettifiche di attività finanziarie
Rivalutazione e svalutazione partecipazioni
E. Proventi ed oneri straordinari
Imposte sul reddito
= Utile o perdita dell’esercizio
La principale differenza con i modelli di riclassificazione più comunemente adottati è nel separare gli ammortamenti e gli accantonamenti in una (o due) voci separate da inserire dopo i costi della produzione, proprio perché questi costi hanno natura e metodo di rilevazione molto diverso dagli altri costi.
Lo vedremo in dettaglio più avanti.
Indici di Conto Economico
Sulla base del conto economico che abbiamo visto in precedenza possiamo trarre qualche considerazione. Rivediamolo.
1 Ricavi del periodo 150 100.0%
2 - Costi del periodo -110 -73.3%
3 = Utile Operativo 40 26.7%
4 - Costi finanziari -6 -4.0%
5 +/- Proventi ed oneri straordinari -4 -2.7%
6 - Imposte e tasse -12 -8.0%
7 = Utile o perdita 18 12.0%
L’azienda ha ricavi per 150 Euro (o migliaia di Euro o ... Milioni di Euro) e, dopo aver pagato tutti i suoi costi per merci, affitto e personale ne trae un utile operativo del 26.7%. E’ un buon risultato per una società di servizi, ottimo se invece si tratta di un’azienda produttiva che ha normalmente margini assai più bassi.
Una buona parte di questo utile operativo viene però “perso per strada”: in costi finanziari un po’ alti, in qualche costo straordinario e naturalmente, in tasse. Il risultato per l’azienda è di 18 Euro netti, che rappresenta il 12.0% del suo volume d’affari.
Il 12.0% rispetto al fatturato è però un indice che da solo non vuol dire nulla: è un risultato più o meno valido a seconda di quanto normalmente altri operatori ottengono nello stesso settore. Dal confronto con un’altra azienda simile possiamo quindi capire quanto è valido il risultato del 12% rispetto al fatturato.
Anche i 18 Euro in sé non significano molto: dipende da quanto l’imprenditore ha investito nella sua attività per ottenere questo risultato ed a quanto avrebbe potuto ottenere investendo la stessa somma in qualche altra attività. Così se l’imprenditore nella società ha investito in tutto 200 Euro, dai quali tramite un investimento finanziario senza rischi imprenditoriali avrebbe ottenuto interessi annuali al massimo di 6 Euro, allora ottenere 18 Euro in un solo anno sarebbe un ottimo rendimento!
Cap 3. Il conto economico: l’analisi della gestione caratteristica
L’utile operativo misura la redditività aziendale nel proprio business. Osservando l’andamento aziendale su un periodo di alcuni anni possiamo valutare se la redditività aumenta o diminuisce rispetto al volume d’affari. Possiamo capire di più analizzando come viene raggiunto l’utile operativo.
Il valore della produzione
E’ calcolato come:
1 Fatturato
2 Aumento delle rimanenze di magazzino
3 Altri proventi
4 = Valore della produzione
Nel bilancio di un esercizio, il valore delle rimanenze di prodotti che rimane alla fine del periodo è assimilato ad un provento (vendo il magazzino all’anno dopo) ed il valore delle rimanenze iniziali è un costo (l’ho comprato dall’anno precedente).
Il valore della produzione è quindi proprio il valore di ciò che l’azienda ha prodotto durante l’anno: parte di questo valore è stato realizzato vendendo a clienti (ed è il fatturato) e parte di questo valore non è stato ancora realizzato ma lo possiamo contabilizzare perché è nei magazzini della società (ed è l’incremento delle rimanenze).
E’ evidente che se cambio il metodo con cui contabilizzo il magazzino ottengo risultati distorti e se utilizzo un metodo che sovrastima il magazzino rispetto ad il suo vero valore ottengo un risultato apparentemente migliore della realtà e viceversa.
Il valore della produzione è importante per valutare l’evolversi della struttura dei costi: posso infatti controllare se i costi della società sono aumentati o diminuiti nel tempo rispetto al valore di quanto la società ha prodotto in ciascun anno.
Struttura dei costi
I principali costi operativi in un bilancio sono:
Periodo: anno 1
1 Valore della produzione 100
2 - Acquisti -30
3 - Servizi ed altri costi -10
4 = Valore aggiunto =60
5 - Costo del personale -25
6 = Margine Operativo Lordo =35
7 - Ammortamenti -5
8 = Utile Operativo =30
Possiamo identificare due livelli intermedi di analisi tra produzione ed utile operativo: il valore aggiunto e il MOL (margine operativo lordo).
La differenza tra Valore Aggiunto e MOL è il costo del personale dipendente. Valore aggiunto e costo del personale sono più semplici da valutare quando sono calcolati pro capite.
La differenza tra MOL ed utile operativo sono gli ammortamenti. Gli ammortamenti non sono costi pagati per cassa ma sono un accantonamento contabile e rappresentano la ripartizione su più anni del costo che l’azienda ha sostenuto per acquistare cespiti, macchinari ed impianti.
Crescita dei volumi e del reddito
Individuati i principali livelli della nostra analisi, vediamo come valutarli.
Il primo aspetto è il fattore crescita.
La misura delle dimensioni di un’azienda è il suo fatturato, che indica quanto ha ottenuto dalla cessione dei suoi prodotti o dei suoi servizi.
La crescita del fatturato va confrontata con il tasso di inflazione, per vedere se c’è stata crescita in termini reali (cioè al netto dell’inflazione) o solo in termini monetari e va confrontata con un indice di crescita dello specifico settore in cui opera l’azienda, per verificare se l’azienda è cresciuta più o meno rispetto alla media dei suoi concorrenti.
A volte riusciamo ad avere anche dati sui volumi di vendita (dalla relazione degli amministratori o direttamente da informativa della società). In questo caso possiamo calcolare quanto l’aumento del fatturato è dovuto alla vendita di più prodotti piuttosto che ad un incremento dei prezzi con pari volume di prodotto.
Possiamo quindi formulare delle ipotesi su cosa sta accadendo in azienda: vende di più tenendo però i prezzi più bassi dell’anno passato (e probabilmente avrà margini di reddito più bassi) o vende la stessa quantità di prodotto riuscendo ad aumentare i prezzi.
L’aumento di fatturato non porta automaticamente ad un pari aumento nella produzione: se l’azienda all’inizio dell’anno ha un magazzino pieno di merce può vendere più prodotti ed avere un maggior fatturato anche senza produrre di più.
In genere se il fatturato cresce, ad esempio del 10% e la produzione cresce solo del 6% è un segno della capacità di assorbire il magazzino. Molto peggio quando succede il contrario, se cioè il fatturato cresce del 6% e la produzione cresce del 10%, perché allora l’azienda sta producendo prodotti che non vende e li mette in magazzino.
Lettura critica delle variabili chiave di redditività
Valore Aggiunto / Produzione:
indica la redditività prima del costo del lavoro;
è un indice interessante per le aziende manifatturiere con importanti produzioni interne e un alto costo del lavoro di fabbrica; calcolando poi valore aggiunto/numero di addetti otteniamo un indice della produttività per addetto, che possiamo confrontare con il costo medio per dipendente. E’ però un indice di scarsa utilità per le aziende con struttura snella e commerciali.
MOL / Produzione:
E’ il principale indice focalizzato sulla redditività operativa perché non include e non è alterato dagli ammortamenti che, essendo una posta di bilancio stabilita dagli amministratori, si presta a possibili manovre di bilancio e fiscali. E’ un indice adatto a qualsiasi tipo di azienda, sia industriale che commerciale.
Utile Operativo / Produzione:
A differenza dell’indice precedente, include gli ammortamenti. Naturalmente a livello teorico è più appropriato questo indice più completo ma abbiamo visto il problema dell’attendibilità del dato degli ammortamenti.
Cap. 4. Il conto economico: l’analisi finanziaria e l’analisi verticale
Il reddito prodotto dalla gestione operativa deve far fronte ai costi dei finanziamenti, ad eventuali spese straordinarie e viene infine sottoposto a tassazione.
Quali sono i parametri per valutare questi aspetti? Vediamoli separatamente.
Costi finanziari: E’ il totale degli interessi pagati ai finanziatori ed è una delle voci più importanti di tutto il bilancio.
Dai costi finanziari, conoscendo il livello di tassi di interesse sul mercato, possiamo calcolare il livello medio di indebitamento della società durante l’anno. Ad esempio se una società ha oneri finanziari di circa 6 Euro e sappiamo che i tassi di interesse sono attestati attorno al 7% possiamo calcolare in 86 Euro l’indebitamento medio della società durante l’anno: infatti 86 Euro di debiti x 7% = 6 Euro di interessi. Questi 86 Euro sono l’indebitamento medio della società in quest’anno.
Per giudicare se è troppo elevato possiamo utilizzare un semplice indice, l’interest cover.
L’interest cover
Interest Cover = utile operativo/oneri finanziari
E’ un indice di quante volte l’utile operativo copre i costi sui finanziamenti.
Se l’indice è alto (ad es. 3 o 4) significa che l’azienda ha una redditività che può pagare i costi dei finanziamenti e quindi i finanziamenti sono di ammontare non eccessivo rispetto alla capacità reddituale dell’azienda.
Se l’indice è 1,5 o 2 invece basta un minimo calo di redditività od un aumento dei tassi di interesse perché l’azienda non guadagni più a sufficienza per pagare gli oneri finanziari. Ciò vuol dire che l’ammontare dei finanziamenti è eccessivo rispetto alla capacità reddituale dell’azienda.
Costi e proventi straordinari: l’azienda è soggetta ad eventi imprevedibili o può incorrere in costi od ottenere proventi che non sono dovuti alla sua attività commerciale e produttiva caratteristica. Isoliamo quindi in questa voce i costi ed i proventi che consideriamo non ricorrenti nell’attività dell’azienda. Naturalmente anche queste voci hanno un impatto sul risultato finale dell’esercizio: l’elemento per noi più importante è saper giudicare quanto l’andamento dell’azienda è pregiudicato o migliorato per questi accadimenti straordinari. Se c’è un provento (od un costo) straordinario di notevole entità dobbiamo pensare che l’anno prossimo, senza più questo provento, l’azienda avrà un ben diverso risultato finale.
Il cash flow
Cash flow = utile netto + ammortamenti
Abbiamo visto che gli ammortamenti sono costi contabilizzati che non danno luogo ad una uscita di cassa. Se anziché calcolare la redditività dell’azienda sui ricavi e sui costi considerassimo solo le entrate e le uscite di cassa otterremmo il cash flow. Il cash flow, che comprende utili ed ammortamenti, è una misura di quanta cassa l’azienda genera in un certo periodo.
Cash Flow / fatturato: è una misura affidabile della redditività globale dell’azienda. E’ più affidabile del rapporto utili / fatturato perché valorizza le società che stanziano molti ammortamenti.
Vediamo un confronto:
Alfa Beta
+ Ricavi del periodo 1.000 1.000
Margine Operativo lordo 200 200
- Ammortamenti -50 -120
Utile Operativo 150 80
= Oneri Finanziari -10 -10
Imposte -70 -35
Utile netto 70 35
Cash Flow 120 155
Se valutiamo le due aziende sulla base dell’utile netto rispetto al fatturato, l’azienda Alfa con un 7% sembra migliore dell’azienda Beta che ottiene un 3.5%. Il confronto del cash flow indica invece il contrario: la generazione di cassa è più alta per Beta, che ha generato maggiori risorse per crescere e creare valore.
Il reinvestimento dell’utile
Un elemento spesso trascurato è verificare quale parte dell’utile di esercizio viene distribuita ai soci sotto forma di dividendo e quale invece viene accantonata tra le riserve patrimoniali della società.
Vediamo un esempio estremo che ci illustra l’effetto di una diversa politica di dividendi.
Alfa Beta
+ Utile dell’esercizio 180 180
- Dividendi 60 200
Payout in % 33% 111%
= Utili Indivisi 120 0
Aumento del PN +120 -20
Alfa e Beta hanno ottenuto lo stesso risultato di 180.
Alfa distribuisce 60 ai soci e capitalizza 120 come riserva, mentre Beta distribuisce ai soci tutto l’utile dell’anno più parte di riserve accantonate in anni precedenti, così il suo Patrimonio Netto diminuisce rispetto l’anno precedente.
L’analisi comparativa nel tempo
Il confronto trai bilanci di più anni ci permette di capire il trend dell’andamento della redditività dell’azienda. Vediamo uno schema semplificato con un’analisi limitata all’utile operativo.
| Periodo: anno | 1 | 2 | 3 | 4 |
+ | Ricavi del periodo | 320 | 370 | 390 | 402 |
| Trend % |
| +15.6% | +5.4% | +3.1% |
- | Costi di Produzione | 282 | 314 | 331 | 362 |
| Trend % |
| +11.3% | +5.4% | +9.4% |
= | Utile Operativo | 38 | 56 | 59 | 40 |
| Trend % |
| +47.4% | +5.4% | -32.2% |
| UtOp in % Fatturato | 11.9% | 15.1% | 15.1% | 10.0% |
Nel periodo 2 l’azienda ha ottenuto un ottimo aumento del fatturato rispetto all’anno precedente (+15.6%) con un formidabile aumento della redditività (+ utile operativo). In altre parole, i ricavi sono aumentati più dei costi e l’azienda ha guadagnato di più.
Nel periodo 2 l’aumento del fatturato è stato più modesto (solo +5.4%) e la redditività si è mantenuta costante rispetto l’anno precedente (l’utile operativo è stabile al 15.1% del fatturato). In altre parole, costi e ricavi hanno avuto un uguale trend.
Nel periodo 4 la crescita del fatturato è ancora rallentata (+3.1%) e la redditività è diminuita (utile operativo sceso dal 15% al 10%). In altre parole, il fatturato è cresciuto di poco mentre i costi continuano a crescere e l’azienda guadagna di meno.
Possiamo trarre delle indicazioni per tutto il periodo? In linea di massima possiamo dire che:
- L’azienda è sempre cresciuta (il trend ricavi è sempre positivo)
- L’azienda ha sempre ottenuto un buon utile operativo di 40 – 60 euro l’anno
- L’azienda sembra avere una struttura di costi rigida: quando il fatturato cresce va bene, se cresce meno non riduce proporzionalmente anche i costi e l’azienda guadagna molto meno.
L’analisi comparativa tra aziende similari
Un’analisi spesso interessante è effettuare un confronto tra due o tre aziende simili. Il confronto è significativo quanto più omogenee sono le aziende.
Devono quindi operare nello stesso settore con prodotti concorrenti ed avere dimensioni analoghe. Per una grande banca non è difficile raccogliere direttamente i bilanci, tanto più che oggi sono reperibili su varie banche dati.
I bilanci delle aziende da confrontare possono essere sintetizzati nelle voci più importanti ed essere messi a confronto diretto.
Il seguente confronto è tratto da un’analisi comparativa effettuata su tre aziende italiane che producono montature per occhiali. La tabella mostra il conto economico in percentuale del fatturato su due anni per ciascuna azienda.
Azienda | A | A | B | B | C | C |
Periodo | 1 | 2 | 1 | 2 | 1 | 2 |
Ricavi del periodo | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 | 100.0 |
Valore Aggiunto | 40.1 | 40.3 | 34.8 | 38.0 | 49.8 | 53.0 |
MOL | 27.0 | 27.4 | 11.0 | 12.4 | 16.2 | 16.2 |
Utile Operativo | 24.0 | 24.7 | 5.7 | 6.3 | 9.6 | 9.1 |
Utile Netto | 13.0 | 12.9 | 1.1 | 1.8 | 0.1 | 0.1 |
Cash Flow | 16.0 | 15.5 | 6.5 | 7.9 | 6.7 | 7.2 |
Il confronto è tra aziende concorrenti sullo stesso prodotto ma le differenze sono sensibili:
A livello globale l’azienda A ha una redditività molto maggiore delle altre due, che si equivalgono tra loro.
L’azienda A ha un Valore Aggiunto minore dell’azienda C ma ottiene un miglior MOL, perché ha meno costi del personale. Questo vuol dire che ha miglior impianti o fa produrre esternamente da altri produttori più piccoli con un costo minore. L’azienda C è l’opposto: ottiene un altissimo valore aggiunto ma lo spende ampiamente in costo del lavoro diretto: probabilmente fa tutto internamente e con una bassa produttività.
L’azienda A riesce a trasformare metà del suo utile operativo in utile netto, mentre le altre due aziende sono probabilmente penalizzate da oneri finanziari, che devono essere molto consistenti per la C che nonostante un buon 9% di utile operativo non guadagna nulla.
Il rapporto cash flow sul fatturato misura bene la situazione globale della diversa redditività delle tre aziende.
Indici di conto economico
Riassumiamo quindi i principali indicatori da applicare all’analisi del conto economico:
Crescita:
aumento dei ricavi
aumento dell’utile operativo
Redditività:
MOL / ricavi
Utile operativo/ ricavi
Utile netto / ricavi
Autofinanziamento:
Cash flow / ricavi
Produttività del lavoro:
Valore aggiunto per addetto
Struttura:
Interest cover