domenica 24 gennaio 2010

Tutelare il valore degli asset intangibili nell'azienda in crisi

Nella gestione dell'azienda in crisi si cerca di far quadrato attorno agli elementi competitivi più forti: un ritorno al capitale economico, alla concretezza, alla fisicità. Dopo anni di economia virtuale, finanziaria e liquida, un pò di concretezza non guasta. Preservare e tutelare il capitale intellettuale e gli asset intangibili dell'azienda é però l'unico modo per permetterle di competere. Vediamo come.

La chiave di successo della PMI italiana, la sua capacità competitiva, non si basa tanto sul suo capitale economico e finanziario (cespiti, macchinari, tecnologie, finanza, ecc.) che invece é il più delle volte inadeguato rispetto a competitors internazionali sempre più grandi ed organizzati, quanto piuttosto dall'intuito dell'imprenditore e dalla capacità dei suoi collaboratori di creare qualcosa in più. Diciamo che la capacità competitiva della PMI deriva allora dai sui Asset Intangibili, che, secondo una terminologia diffusa, includono tre principali aree: quella del capitale relazionale, del capitale umano e del capitale organizzativo.


Con una notevole semplificazione ed approssimazione, possiamo identificare i value drivers della capacità competitiva della PMI in queste aree e capire come possiamo preservarli anche nella gestione di una fase di crisi durante la quale il management tende a privilegiare altri aspetti aziendali, come il controllo dei costi e la generazione di cassa, aspetti più urgenti ma non necessariamente più importanti.


Nell'area del capitale relazionale i value drivers più rilevanti per la PMI risiedono nella sua capacità di gestire innanzi tutto relazioni privilegiate con la propria clientela. Questa si ottiene se si ha la capacità di generare un valore aggiunto per il cliente che vada oltre al rapporto qualità / prezzo del prodotto / servizio che viene offerto, perché ci sarà sempre un concorrente marginale capace di arrischiare un'offerta commerciale ad prezzo minore, o di uscire con un prodotto più innovativo, ma non per questo si va automaticamente fuori mercato. Ma é anche nella capacità di creare una consapevolezza dell'importanza del proprio ruolo rispetto al successo dell'azienda in una vasta parte delle persone che vi operano. Come tuteliamo allora questi asset intangibili del capitale relazionale? Vediamo due aspetti fondamentali. Il cliente deve vedere l'azienda come un partner che risolve problemi e trova soluzioni, non un fornitore di cose da comprare. Per fare questo occorre che l'azienda si impegni a creare soluzioni per il cliente, creando qualcosa che vada oltre alle sue aspettative. Lo può fare se tutte le persone dell'organizzazione sono coinvolte in questo sforzo, altrimenti rimane un tentativo di sola immagine, destinato a durare ben poco.


Nell'area del capitale umano la PMI deve saper attrarre e saper valorizzare risorse che facciano la differenza. La PMI, per le sue ridotte dimensioni non può far leva sull'ampiezza del capitale umano, deve quindi essere migliore della concorrenza a livello di qualità. L'era in cui la capacità competitiva si basava sul prezzo in Italia é finita, ora il value driver sono le persone. Come tuteliamo allora questi asset intangibili del capitale umano? Introducendo persone che abbiano una cultura internazionale, abbiano competenze di mercati e processi diversi da quelli abituali dell'azienda, sappiano pensare come pensano i competitors. Persone da non perdere perchè faranno il know-how dell'azienda.


Nell'area del capitale organizzativo la PMI deve mostrarsi capace di accedere alle più recenti tecnologie anche là dove queste non siano state generate in-house e deve essere all'avanguardia nella gestione dei processi aziendali. Per preservare la sua capacità competitiva deve quindi saper importare tecnologia di prodotto e di processo, con antenne di monitoraggio che rilevino cosa é disponibile di meglio in tutto il mondo e con una struttura organizzativa semplice e lineare che permetta di importare i miglioramenti in modo veloce ed efficace, cosa assai più difficile in contesti molto strutturati ed ingombranti. Come tuteliamo allora questi asset intangibili del capitale organizzativo? Molte, troppe le cose da fare, meglio focalizzarsi su due. La prima é ripensare alla corporate governance, ovvero alle regole che regolano la vita interna dell'azienda, in modo che siano coerenti con le sue nuove necessità. Le risorse sono poche, devono essere concentrate sugli obiettivi e non sempre la governance é strutturata nel modo giusto. Il secondo aspetto é far si che l'innovazione tecnologica diventi una costante e non un accadimento straordinario. Si può introdurre una figura professionale apposita, si deve rivedere il sistema degli incentivi all'innovazione interna.

venerdì 8 gennaio 2010

L'acquisto di azioni proprie nel diritto commerciale e nella finanza aziendale.

L'acquisto di azioni proprie in modo diretto o, nella forma più complessa, l'acquisto di azioni o quote della controllante effettuato da parte della società controllata, sembra essere operazione di grande attualità. Vediamo qualche semplice considerazione sulla sua convenienza.

L'acquisto delle proprie azioni effettuato da parte di una società

Tutti sappiamo che una società può emettere titoli che dovrà rimborsare alla scadenza (come le obbligazioni) e titoli che non verranno rimborsati se non alla liquidazione (cioé le azioni). Vi è poi una gamma di titoli ibridi che stanno in mezzo, dalle obbligazioni perpetual (che non saranno rimborsate) a alle reedimable shares di diritto UK (che invece sono azioni rimborsabili). Quando una SpA di diritto italiano emette azioni, non può in seguito rimborsarle: giustamente il codice civile disciplina anche la facoltà da parte della società di riacquistare tale azioni (all'art. 2357, 2357 bis e ter) perchè è un'operazione che depaupera i mezzi propri della società ed è potenzialmente lesiva degli interessi degli altri stockholders. I principali vincoli sono i seguenti: il valore nominale delle azioni acquistate non può eccedere la decima parte del capitale sociale, la società non può acquistare azioni proprie se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato, una riserva indisponibile pari all'importo delle azioni proprie iscritto all'attivo del bilancio deve essere costituita e mantenuta finché le azioni non siano trasferite o annullate, il diritto di voto è sospeso per le azioni proprie.

L'acquisto di azioni o quote della controllante effettuato da parte della società controllata

Analogamente, allorquando una società è detenuta da un'altra società, valgono analoghe regole per l'acquisto di azioni o quote della controllante effettuato da parte della società controllata, ché altrimenti si potrebbe ottenere il medesimo risultato dell'acquisto di azioni proprie (art 2359 bis). In questo caso inoltre la società controllata da altra società non può esercitare il diritto di voto nelle assemblee di questa. Il tutto vale anche anche per gli acquisti fatti per tramite di società fiduciaria o per interposta persona.

Perché mai una società deve ricomprarsi le proprie azioni detenute dai soci?

Vediamo tre casi.

Se e quando il socio di una SpA vuole alienare le proprie azioni, se queste non sono quotate in una borsa regolamentata, la cosa può non essere così semplice. Se le azioni in questione rappresentano la maggioranza del capitale o la minoranza di un grande gruppo allora c'é un “mercato” dove venderle, mercato fatto di imprenditori, altre aziende ed investitori finanziari. Se si tratta invece di una minoranza del capitale di una PMI, possono avere interesse ad acquistare di fatto solo gli altri soci (se vogliono e se possono) o qualche manager, insomma non c'é mercato, l'operazione deve essere costruita in casa e l'acquisto delle azioni da parte della società stessa può risolvere questo problema.

Un caso differente è quando a vendere non è un socio di minoranza ma è un socio importante che aliena solo una parte delle azioni che detiene nella società. Al socio conviene cioé trasferire fondi a monte: in questo modo la società ha meno cassa (o più debiti finanziari) e meno capitale proprio mentre il socio a monte fa cassa. Fatto salvo il caso di necessità finanziarie del cedente, questo può essere un modo di pagare dividendi con tassazione agevolata in capo al socio.

A volte infine l'operazione è una semplice convenienza finanziaria. Quando i tassi di interesse sono bassi (come adesso mentre scrivo) una azienda solida che non ha difficoltà a procurarsi finanziamenti bancari può avere convenienza a lavorare con più mezzi di terzi e meno mezzi propri. A parità di risultato “industriale” la maggior leva finanziaria aumenta il rendimento degli azionisti.

Qual'é il rischio ed il limite?

L'acquisto di azioni proprie aumenta i debiti e fa diminuire i mezzi propri, aumenta cioé il leverage della società. Infatti se una società ha 1.000.000 di euro di debiti finanziari ed 1.000.000 di mezzi propri, con un acquisto di azioni proprie per un controvalore di 400.000 euro i debiti finanziari aumentano a 1.400.000 euro ed i mezzi propri (patrimonio netto meno azioni proprie) scende a 600.000 euro.

Il leverage calcolato come debt/equity passa da 1.000.000/1.000.000 = 1:1 pre operazione a 1.4000.000/600.000 = 2,3:1 post. Poco male a questo basso livello di indebitamento, semprechè i finanziamenti per effettuare l'operazione e quelli aggiuntivi per lo sviluppo dell'attività aziendale siano disponibili nella quantità necessaria ed ad un costo di spread ancora conveniente all'azienda.

Il rischio ed il limite dell'operazione di acquisto di azioni proprie è non fare adeguatamente i conti con il probabile deterioramento del rating aziendale presso il sistema bancario, cosa che nell'attuale fase di credit crunch potrebbe rivelarsi un clamoroso autogol. In conclusione, fatevi prima sia un'analisi societaria-fiscale che finanziaria.