mercoledì 18 gennaio 2012

La deduzione del rendimento dei capitali conferiti nelle società

La manovra di fine anno 2011 ha introdotto una norma fiscale atta ad incentivare la capitalizzazione delle imprese. Vediamo di che si tratta e cosa ne pensiamo.

L'articolo 1- ACE - del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201
Dal 2011 le SpA, Sapa, Srl, cooperative, enti commerciali residenti diversi dalle società, trust e stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti possono dedurre dal reddito d'impresa annuale un importo corrispondente al rendimento nozionale del nuovo capitale proprio, che si determina applicando alla variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2010 una percentuale del 3%.

In altre parole ...
Se una società di capitali aumenta il capitale proprio rispetto al valore di bilancio al 31 dicembre 2010, può dedurre ogni anno dal reddito d'impresa un costo figurativo del capitale pari al 3% dell'aumento del capitale effettuato. E' interessante notare che la norma introdotta a fine 2011 vale anche per l'anno 2011 già trascorso, che è ininfluente il fatto che il maggiore nuovo capitale proprio sia stato ottenuto tramite nuovi conferimenti di capitale piuttosto che con utili non distribuiti, semprechè non siano riserve non disponibili, che infine il beneficio è riportabile all'anno successivo. Questi in sintesi gli aspetti principali, ovviamente per i dettagli ci si rivolge ai dottori commercialisti.

L'aliquota per calcolare l'importo deducibile
Il DL 6 dicembre 2011 n 201 stabilisce che il rendimento nozionale è del 3% per i periodi d'imposta 2011, 2012 e 2013. Per gli esercizi successivi sarà invece stabilito con decreto del ministero dell'economia e delle finanze tenendo conto dei rendimenti finanziari medi dei titoli obbligazionari pubblici aumentabile di ulteriori tre punti percentuali a titolo di compensazione del maggior rischio.

I (pochi) pro
E' un beneficio fiscale che si applica sull'incremento del capitale proprio, volutamente creato per incentivarlo e venire incontro alle necessità di maggiore capitalizzazione delle imprese italiane. Il calcolo è semplice ed efficace: se l'azienda aumenta il capitale proprio di 100.000 euro, in quanto trattiene gli utili dell'esercizio senza pagare dividendi e/o in quanto i soci conferiscono nuove risorse finanziarie, ottiene un costo fiscalmente deducibile di 3.000 euro l'anno con un risparmio di imposta del 27,5% cioè di 825 euro. Un finanziamento bancario di 100.000 euro garantito dai soci è deducibile per importi ben maggiori ma, piuttosto che niente, diciamo che è comunque meglio ... piuttosto.

I (molti) contro
Per i periodi successivi al 2013 l'aliquota verrà stabilita tenendo conto dei rendimenti finanziari di mercato più un premio del 3%. Il decreto legge dimostra quindi qualche cognizione di finanza aziendale e di calcolo del costo del capitale di un'azienda, pari al rendimento finanziario risk-free più un premio per il rischio d'impresa. Peccato che...

1) il rendimento nozionale verrà calcolato secondo il parametro indicato all'art.1 comma 3 del DL 6 dicembre 2011 n 201 solamente a partire dal 2014 mentre per adesso, anzi per ben tre anni, ovvero nel periodo critico 2011-2013, viene stabilito un forfait del 3% che è evidentemente inferiore all'aliquota che si otterrebbe applicando già da oggi il parametro che è stato previsto per il 2014: mentre scriviamo il rendimento medio dei titoli obbligazionari pubblici a 5-7 anni è del 6,1% (Rendimenti Mediobanca sul Sole 24 Ore) che più 3% fa 9,1% e non 3%. Il risparmio fiscale di 825 euro calcolato sopra dovrebbe quindi essere di 2.502,50 euro.

2) Il maggior rendimento del 3% a titolo di compensazione del maggior rischio indicato nel DL 6 dicembre 2011 n 201 come futuro parametro è un valore di fantasia che non riscontro in nessuna pubblicazione: l'equity market premium calcolato da chi lo fa per mestiere è ben più alto, anche considerando settori economici non particolarmente volatili. Inoltre dovremmo tener conto della maggior illiquidità dell'investimento in capitale proprio per le PMI non quotate. Per semplicità diciamo che, secondo i principi inseriti nel decreto, si otterrebbe una giusta aliquota attorno al 10% e non certo il 3%.

3) L'aliquota attuale è del 3% e la norma prevede di adeguarla tra due anni. Di fatto si tratta di una promessa e delle promesse il contribuente italiano ... ne ha piene le tasche. Chi in passato ha scudato i capitali in base ad una legge (legge assolutamente iniqua “sed lex”) della repubblica italiana ora fa i conti con un surplus di tassazione ex post che va a colpire capitali che, complice la crisi finanziaria, potrebbero anche non esserci più, una norma semplicemente indifendibile. Se qualcuno si illude che il meccanismo di calcolo dell'aliquota nel 2014 rimarrà quello pubblicato oggi, faccia pure.

Finanziamenti bancari garantiti dai soci

La “manovra di ferragosto” (Dl 138/2011) ha uniformato la misura della tassazione delle rendite finanziarie al 20%. Ha inoltre abrogato la cosiddetta Legge Prodi del 1996. Vediamo le conseguenze e qualche considerazione sulla gestione finanziaria delle PMI.

La manovra di ferragosto 2011
Il Decreto legge 138/2011 prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2012 siano abrogate le disposizioni previste dai commi 1 - 4 dell’articolo 7, Dl 323/1996 (la cosiddetta legge Prodi). Pertanto, è abolito l’obbligo introdotto nel 1996 di un prelievo aggiuntivo nella misura del 20% sui proventi derivanti da depositi di denaro, valori immobiliari e di altri titoli diversi dalle azioni e da titoli similari, effettuati da persone fisiche a garanzia di finanziamenti concessi a imprese residenti.
Inoltre, viene meno il prelievo aggiuntivo del 20% degli interessi e degli altri proventi, qualora il rimborso delle obbligazioni e dei titoli similari con scadenza non inferiore a 18 mesi sia effettuato anticipatamente.

La legge 8 agosto 1996 n 425 (cosiddetta Legge Prodi)
All'art 7 comma 1 del Dl 323/1996 prevedeva che: “Sui proventi derivanti da depositi di denaro, di valori mobiliari e di altri titoli diversi dalle azioni e da titoli similari, a garanzia di finanziamenti concessi ad imprese residenti, effettuati fuori dall'esercizio di attività' produttive di reddito d'impresa da parte di persone fisiche, nonché' da parte di società' semplici ed equiparate di cui all'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, di enti non commerciali o di soggetti non residenti senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, indipendentemente da ogni altro tipo di prelievo previsto per i proventi medesimi, e' dovuta una somma pari al 20 per cento degli importi maturati nel periodo d'imposta.”

A cosa serviva la Legge Prodi
Obiettivo della Legge Prodi era disincentivare i finanziamenti bancari garantiti da titoli, ovvero il meccanismo mediante il quale l'imprenditore creava presso una banca un deposito titoli personale sul quale ottenere proventi finanziari a bassa tassazione ed al contempo la sua azienda fruiva di un finanziamento erogato della stessa banca deducendo tutti i relativi oneri finanziari. Insomma un vantaggio fiscale per l'imprenditore e la sua azienda e nessun rischio per la banca, unico a rimetterci era l'erario. La tassazione aggiuntiva del 20% sui proventi finanziari a livello personale era un evidente disincentivo (sulle modalità per aggirare l'ostacolo rivolgersi a qualunque banca).

E adesso?
Con l'abrogazione della legge Prodi tutto torna come prima, fatto salvo il problema delle aliquote di tassazione delle rendite finanziarie uniformate al 20% tranne che per i titoli di stato per i quali rimane di fatto al 12,50% (anche la tassazione dei titoli di stato è al 20% ma calcolata su di un imponibile ridotto ad arte al 62,50%, sicché si ottiene 100 x 62,5% x 20% = 12,50%% come prima).

Cosa conviene fare?
Ovviamente non bisogna mai generalizzare situazioni che è meglio vagliare caso per caso. E' peraltro evidente che gli alti rendimenti offerti dai titoli di stato italiani offrono l'opportunità di riproporre finanziamenti garantiti. Ad esempio l'imprenditore che si trovasse a detenere dei titoli obbligazionari o di stato che causa il rialzo dei tassi quotano sul mercato sotto la pari o titoli azionari con quotazione in perdita sul valore di acquisto, anziché venderli per ricapitalizzare la propria azienda può considerare la possibilità di lasciarli sul dossier titoli personale a garanzia di un finanziamento bancario. Il valore sarà corrispondente al valore di mercato, quindi non avrebbe un vantaggio di importo, ma godrebbe del vantaggio fiscale e beneficerebbe dall'eventuale incremento delle quotazioni dei titoli qualora migliorasse la situazione finanziaria globale del belpaese.

giovedì 12 gennaio 2012

Gli strumenti per risanare l'azienda in crisi

Per uscire dalla crisi d'impresa l'imprenditore deve capire quanto è grave la crisi, quali sono state le cause e quali interventi di risanamento deve ora adottare, così da utilizzare gli strumenti gestionali e giuridici più idonei alla sua situazione. Vediamo in sintesi la gamma degli strumenti di risanamento disponibili.

Crisi o insolvenza?
La differenza tra stato di crisi e stato di insolvenza è semplice e molto importante.
L'azienda in crisi ha difficoltà a far fronte ai suoi impegni finanziari ma la sua “ragion d'essere” economica è ancora valida, offre prodotti /servizi apprezzati dai clienti e l'attività d'impresa potrà riprendere una volta superate le difficoltà finanziarie del momento. Gli strumenti di risanamento dello stato di crisi sono basati sul turnaround aziendale e su procedure di accordo coi creditori che permettano di superare la fase di temporanea difficoltà finanziaria.
L'azienda è invece in stato di insolvenza quando l'attività d'impresa, causa il cambiamento tecnologico piuttosto che la concorrenza, non ha più motivo economico di continuare così come era stata concepita e la crisi d'impresa non è affatto temporanea ma è strutturale. L'unica via d'uscita è avviare una procedura di insolvenza destinata alla liquidazione del patrimonio aziendale, a tutela dei creditori e degli amministratori.

Procedure di crisi e procedure di insolvenza
Le procedure di crisi hanno quindi per obiettivo il mantenimento della continuità aziendale, le procedure di insolvenza hanno invece per obiettivo la liquidazione dell'impresa. Le prime prevedono accordi di tipo “privato” tra l'azienda ed i suoi creditori, con ampio margine negoziale per trovare una soluzione di mutua soddisfazione, le seconde seguono procedure precise a carattere fallimentare e quindi “pubblico”. Per le prime l'azienda in crisi si rivolge innanzi tutto ad un buon advisor economico e finanziario, per le seconde ad un buon avvocato.

Livelli di crisi dell'impresa e di procedure di risanamento
Le procedure di crisi hanno diversa complessità e ovviamente diverso costo. In funzione dello stato di crisi l'azienda può ricorrere a quattro livelli di strumenti di risanamento: il primo livello comunque indispensabile è il turnaround aziendale, seguito dal piano di risanamento ex art 67, poi dall'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art 182 bis LF, infine dal concordato preventivo.

Il turnaround aziendale
Nel turnaround aziendale l'impresa focalizza le poche risorse disponibili nello sviluppare l'attività che le permette di competere con maggior successo, abbandonando attività marginali. A livello finanziario ci si focalizzerà sui flussi di cassa: la gestione del circolante e degli investimenti diventa ancor più cruciale che quella dei costi e dei ricavi. Nelle fasi di turnaround è normale stipulare accordi di rinegoziazione e riscadenziazione dei debiti bancari. Al turnaround aziendale abbiamo dedicato diversi articoli di questo blog.

Il piano di risanamento ex art 67 lettera c LF
Il piano di risanamento è un livello più strutturato e codificato. L'azienda con l'aiuto di un advisor predispone un preciso piano di risanamento, nel quale le azioni necessarie al turnaround sono descritte con precisione e tempificate. Il piano deve essere inoltre attestato da un professionista indipendente che attesta la sua ragionevolezza. Le banche sottoscrivono un accordo di stand still col quale concedono all'azienda una temporanea sospensione al pagamento dell'esposizione e verificano poi che l'imprenditore metta in atto il piano che ha presentato. Al piano di risanamento abbiamo dedicato diversi articoli di questo blog.

L'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art 182 bis LF
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono un istituto negoziale previsto dal nuovo ordinamento per le aziende in crisi che prevede un accordo con creditori che rappresentino almeno il 60% dei debiti complessivi dell'azienda, con ampia libertà nella scelta delle soluzioni finanziarie, finalizzato al risanamento dell'impresa. Ai creditori rimanenti che non aderiscono all'accordo deve essere garantito il ripagamento del credito. L'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art 182 bis LF viene attestato da un professionista e viene omologato dal tribunale. L'accordo è particolarmente utile per definire i rapporti con pochi creditori esperti in materia: in pratica è una soluzione ottimale se i debiti aziendali sono contratti prevalentemente con le banche. All'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art 182 bis LF abbiamo dedicato una breve scheda di questo blog: L'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art 182 bis LF.

Il nuovo concordato preventivo ex art 160 LF.
E' lo strumento di risanamento più complesso: prevede un piano di risanamento ed un accordo di ristrutturazione del debito a valere sull'intero debito aziendale ed ha natura procedurale. A differenza del “vecchio” concordato a natura prettamente liquidatoria, il “nuovo” concordato introdotto dalla riforma della LF può essere sia di continuità che liquidatorio, con l'intenzione di salvare l'impresa in crisi evitandone il fallimento. Il nuovo concordato preventivo non prevede contenuti minimi all'accordo di ristrutturazione dei debiti e permette all'azienda proponente la massima libertà sia sui debiti chirografari che su quelli assistiti da garanzia: i debiti possono essere suddivisi in classi che differenziano la posizione giuridica dei creditori. L'accordo avrà ovviamente forma scritta e deve essere accettato dai creditori, accompagnato dalla relazione di un esperto e depositato per l'omologa del tribunale. Al nuovo concordato preventivo abbiamo dedicato una breve scheda di questo blog: Il nuovo concordato preventivo ex art 160 LF.

domenica 8 gennaio 2012

L'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis LF

Cos'è l'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis LF?

In estrema sintesi, l'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art 182 bis LF è un accordo stragiudiziale tra l'azienda e l'ampia maggioranza dei sui creditori, regolamentato dalla legge e con un formale procedimento di omologazione da parte del tribunale.

Con tale accordo l'imprenditore ha la facoltà di stipulare un piano stragiudiziale di ristrutturazione dei debiti sia finanziari che commerciali con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti, tenendo presente che tutti i creditori rimanenti che non partecipano all'accordo devono essere regolarmente soddisfatti.

L'accordo di ristrutturazione dei debiti ha quindi due precisi requisiti senza i quali non si ottiene l'omologa del tribunale: deve essere firmato da creditori che rappresentino almeno il 60% dei debiti complessivi dell'azienda e deve assicurare il pagamento degli altri creditori che non hanno preso parte o non hanno accettato l'accordo.

I debiti che vengono ristrutturati

Per quanto riguarda i debiti oggetto dell'accordo di ristrutturazione, l'azienda ed i creditori hanno la più ampia discrezionalità nello stabilire sia nuovi piani di rimborso che novazione o remissione o differimento delle scadenze e possono anche dare vita a nuove obbligazioni che sostituiscono obbligazioni precedenti. La “ratio” dei creditori che accettano l'accordo è di sopportare qualche sacrificio pur di evitare una liquidazione fallimentare che avrebbe esiti assai più penalizzanti.

I debiti oggetto dell'accordo possono essere sia di natura finanziaria che commerciale. E' però evidente che questo tipo di accordo richiede notevoli competenze tecniche nel creare una nuova struttura debitoria sostenibile, spesso complessa nell'articolazione delle sue forme tecniche: solo le banche sono attrezzate per negoziare soluzioni di questo tipo.

I debiti rimanenti che non vengono ristrutturati

Per quanto riguarda il pagamento degli altri creditori estranei all'accordo, questo dovrà avvenire prima dell'ottenimento dell'omologa del tribunale e l'avvenuto pagamento dovrà essere attestato dal professionista. Il pagamento potrà avvenire anche dopo l'omologa ma in questo caso l'accordo dovrà garantire il regolare pagamento cioè il pagamento per intero e alla scadenza concordata con ciascun creditore; dovrà inoltre essere specificato con quali modalità e con quali risorse finanziarie l'azienda liquiderà tali debiti e quali garanzie è in grado di offrire su questi pagamenti. Qualora infatti l'azienda, perdurando lo stato di crisi, non facesse fronte all'impegno nei confronti di questi creditori residuali, allora si potrebbe vanificare tutto l'impianto dell'accordo.

L'attestazione

L'accordo di ristrutturazione dovrà essere validato dalla relazione di un professionista esterno, normalmente un dottore commercialista e revisore contabile, che attesta la fattibilità di tutti gli impegni assunti.

Omologa

L'accordo di ristrutturazione insieme alla relazione del professionista viene sottoposto all'omologazione del tribunale, dispiegando gli effetti qui sotto riassunti. Qualora però il Tribunale non omologhi l'accordo allora questo ha ancora efficacia limitatamente ai soggetti che lo hanno firmato, come un qualsiasi contratto plurilaterale, salvo sia stato previsto diversamente tra le parti.

Effetti dell'omologa

Una volta ottenuta l'omologa, tutti i pagamenti effettuati dall'azienda in esecuzione dell'accordo omologato sono esonerati dall'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare. Questo aspetto, mutuato dalle legislazioni anglosassoni, ha notevole rilevanza per la normale gestione dell'impresa e limita inoltre per il management e per l'imprenditore il rischio del reato penale di bancarotta preferenziale.

Dalla data di pubblicazione dell'omologa presso l'ufficio delle imprese decorrono inoltre 60 giorni di moratoria durante i quali i creditori che hanno maturato crediti prima di tale data non possono esercitare azioni cautelari o esecutive sul patrimonio dell'azienda debitrice, questo al fine di garantire l'operatività dell'azienda.

Qualche considerazione

L'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art 182 bis LF come strumento di risanamento della crisi d'impresa ha però qualche limite: l'azienda ed i creditori che lo sottoscrivono non sono al riparo da eventuali azioni esecutive di terzi, l'accordo deve essere accettato e firmato da tutti e non vige un principio di maggioranza che vincoli gli altri, non ha efficacia ed ha limitati effetti verso i creditori rimanenti. Quando funziona? Come abbiamo visto, serve specialmente quando l'azienda ha un rilevante indebitamento verso poche banche e scarsi debiti commerciali verso fornitori: le banche sono controparti estremamente esperte e qualificate in questa tipologia di accordi ed hanno tutto l'interesse a gestire direttamente la negoziazione e l'accordo. Quando invece l'azienda ha molti debiti frammentati è inevitabile preferire lo strumento del nuovo concordato preventivo che prevede maggiori tutele riguardo l'esclusione delle azioni esecutive proponibili dagli altri creditori.

venerdì 6 gennaio 2012

Il nuovo concordato preventivo ex art 160 LF

Con il nuovo concordato preventivo ex art. 160 LF l'azienda si accorda con i suoi creditori riguardo i tempi e le modalità con i quali ripagherà i propri debiti. E' un accordo basato su un piano di risanamento che deve essere validato da un professionista ed omologato dal tribunale: è lo strumento giudiziale per superare lo stato di crisi dalla procedura più lunga e complessa (e costosa) ma anche quello più affidabile per tutte le parti coinvolte. Vediamo di cosa si tratta.


Cos'è il nuovo concordato preventivo ex art. 160 LF

Quando il mero accordo di ristrutturazione dei debiti non è praticabile, l'imprenditore può ricorrere allo strumento più complesso: il nuovo concordato preventivo, detto “nuovo” perché introdotto dalla riforma del diritto fallimentare e distinguerlo dall'istituto precedente, che aveva per finalità la soddisfazione dei creditori tramite una impostazione liquidatoria, mentre il “nuovo”, ispirato al Bankruptcy Act, è volto al risanamento dell'impresa che versa in stato di crisi ed al mantenimento della continuità aziendale evitando il fallimento. Per semplicità ci limitiamo quindi a qualche nota introduttiva al concordato di continuità e non ci occupiamo del concordato liquidatorio.

Presupposti per accedere al nuovo concordato preventivo ex Art 160 LF

Di fatto il presupposto principale (o forse l'unico) per l'impresa è essere in stato di crisi, ovvero avere difficoltà finanziarie che possono essere superate attraverso un adeguato turnaround, ma non essere in stato di insolvenza, ovvero di crisi strutturale ormai comunque irreversibile. Il nuovo concordato preventivo è uno strumento negoziale per la risoluzione amichevole delle controversie tra l'azienda e i suoi creditori: è praticabile se i creditori sono soggetti esperti, come le banche o le grandi imprese, diviene invece difficile se i creditori sono piccoli ed estremamente frammentati.

Libertà ed autonomia delle parti

Il nuovo concordato preventivo è uno strumento molto flessibile che permette all'azienda ed ai suoi creditori di discutere e formulare una soluzione su misura senza troppi vincoli precostituiti, con la massima libertà ed autonomia. Spetterà poi al professionista esterno verificare l'adeguatezza del piano concordato tra azienda e debitori e spetterà al tribunale il controllo e l'omologa formale.

Il progetto industriale e il contenuto del ricorso

Il successo di una procedura di concordato preventivo (dove per successo non intendiamo solamente che il concordato venga omologato dal tribunale, ma che l'azienda grazie al concordato esca dallo stato di crisi e non si limiti a ... fallire un po più tardi), il successo risiede essenzialmente nella bontà del piano industriale di risanamento.

La domanda di ammissione al nuovo concordato preventivo deve quindi comprendere due elementi fondamentali: il primo è il piano industriale dell'azienda che si svilupperà come un importante piano di turnaround con attenzione sia agli aspetti strategici che a quelli operativi e verrà dettagliato in proiezioni economiche e finanziarie. Il secondo è l'accordo di ristrutturazione dei debiti. Il piano non è quindi finalizzato a trovare in qualunque modo risorse finanziarie per abbattere l'indebitamento ma si basa su nuove strategie industriali, riposizionamento strategico dei prodotti e dei mercati, ripensamento della struttura organizzativa, nuove strategie di internazionalizzazione, cooperazioni con aziende complementari. I creditori che accettano la logica del nuovo concordato preventivo non vogliono vedere lo smantellamento dell'azienda per fare cassa ma vogliono vedere il cambiamento perché l'azienda torni a competere, con nuove idee, nuovi programmi, nuove persone.

Il piano di ristrutturazione dei debiti

Sulla base del progetto industriale e delle previsioni finanziarie ad esso associate azienda e creditori si accordano su un piano di ristrutturazione dei debiti. Non si tratta di un piano di rientro dai debiti, in quando sarebbe irrealistico pensare che un'azienda in crisi possa concordare il ripagamento dei suoi debiti prima di essere risanata. E' quindi un piano per fondare la salvezza dell'impresa che può prevedere qualsiasi forma di accordo suoi debiti esistenti, persino operazioni di finanza straordinaria come la conversione di debiti in titoli azionari o quote della società o l'emissione di altri strumenti finanziari. Il legislatore permette dunque all'azienda ed ai suoi creditori di accordarsi con la finalità di mantenere la continuità aziendale.

Dai creditori privilegiati alle classi di creditori

Uno degli aspetti che merita osservazione è che nel formulare il piano di ristrutturazione dei debiti può essere superata la tradizionale suddivisione tra creditori privilegiati e creditori chirografari. E' infatti possibile articolare maggiormente la differenziazione tra le varie tipologie di creditori creando diverse classi di creditori, classi che vengono formate in funzione della posizione giuridica e sugli interessi economici omogenei, in modo da trovare poi soluzioni di ristrutturazione dei debiti per ciascuna delle classi di creditori.

Il controllo del professionista

Assieme alla domanda di concordato deve essere depositata la relazione di un professionista (dottore commercialista e revisore contabile) che deve attestare la veridicità del piano di risanamento sia riguardo i dati indicati che nella sostenibilità e nella coerenza del percorso indicato nel piano. E' quindi un aspetto sostanziale che attesta quanto il piano sia effettivamente realizzabile e quanto sia realistica l'aspettativa di mantenere la continuità d'impresa. La relazione dell'esperto ha inoltre un carattere giuridico, specialmente nel concordato a natura liquidatoria, in quanto rappresenta il momento nel quale si analizza l'affidabilità delle eventuali garanzie prestate e la procedura di realizzo che dovesse essere prevista nel piano di risanamento.

L'omologa del tribunale

Nel nuovo concordato preventivo l'omologa da parte del tribunale ha carattere prevalentemente formale. Il tribunale accerta non tanto la validità del piano (che è stato comunque accettato dai creditori) ma che la domanda di concordato soddisfi tutti gli elementi previsti dalla normativa e valuta inoltre la correttezza della formazione delle classi di debitori e dell'inserimento di ciascun creditore nella classe più idonea.

Gli organi della procedura

Il tribunale, una volta verificata l'ammissibilità dell'ammissione alla procedura, nomina un giudice (“giudice delegato”) a seguire la procedura, nomina un commissario giudiziale e convoca i creditori. Ha così avvio la procedura.