martedì 1 dicembre 2009

Come fare un piano economico in tempo di crisi

Imprenditori, consulenti, periti e banche, abbiamo tutti quanti maturato un po di esperienza sulla fattibilità dei piani di risanamento. Vediamo allora qualche semplice accorgimento pratico, derivato dall'esperienza nostra e di altri colleghi, nella redazione del piano economico e finanzario dell'azienda che vuole uscire dalla attuale crisi. Per l'impostazione ed i contenuti leggi inoltre gli altri articoli sul blog.


Cautela nelle aspettative sulla ripresa economica e nelle previsioni di sviluppo del fatturato

Ad oggi (dicembre 2009) il quadro generale é sicuramente più incoraggiante rispetto ad un anno fa, specialmente per chi lavora con paesi come India e Cina, dai quali abbiamo prova di rinnovati investimenti e ripresa industriale. La realtà é però che nessuno vuole più azzardare previsioni economiche. Quindi, nelle previsioni di crescita del fatturato, stiamo bassi, saremo più credibili. Se poi andrà meglio, nessun problema.

Nel piano dobbiamo provare che il debito dell'azienda potrà essere rifinanziato, non che lo ripianeremo!

L'obiettivo del piano di ristrutturazione, dal punto di vista industriale, é creare una struttura di equilibrio che consenta la continuità aziendale, senza attendersi miracoli dal mercato. Dal punto di vista finanziario l'obiettivo é quello di provare come, raggiunto l'equilibrio economico, anche la struttura del debito diventa sostenibile, ovvero il totale dell'indebitamento oneroso é compatibile con il cash flow generato dalla gestione industriale. L'azienda é allora in grado di far fronte agli oneri finanziari e non ha necessità di ricorrere ad ulteriori finanziamenti, se non in caso di crescita del volume d'affari. Insomma, il debito finanziario oneroso non viene ripagato ma torna ad essere sostenibile e quindi é potenzialmente rifinanziabile da qualsiasi banca (che torni a fare la banca d'impresa, sempre ammesso che ve ne siano).

Il piano non é azzeccare delle previsioni, ma capire cosa succede al variare di determinate ipotesi.

Azzeccare cosa succederà nel futuro é utile nei giochi d'azzardo, dal giocare in borsa al superenalotto, ma non é questo che ci chiedono nel formulare un piano economico e fianziario. Quello che serve é mostrare le dinamiche aziendali, ovvero cosa succede al conto economico, ai flussi di cassa ed allo stato patrimoniale del prossimo anno al variare del fatturato, dei cambi, del costo della materia prima, ecc. In pratica costruiamo molte alternative ad un piano base, in modo da calcolare l'impatto sull'azienda di variazioni di parametri esterni e verificare se il piano regge ancora.

Il piano economico e finanziario non riguarda solo l'azienda, ma anche l'imprenditore ed i suoi beni.

Nella grande azienda il piano é un problema istituzionale (azionisti, lavoratori, banche, spesso lo stato). Nella PMI è un dannato problema dell'imprenditore. Problema che raramente si riesce a circoscrivere all'ambito aziendale e sempre più spesso impatta la vita e le proprietà extra aziendali dell'imprenditore. Insomma, per risanare l'azienda servono soldi e l'imprenditore, che l'argenteria se l'é già venduta, adesso deve vendersi il resto, real estate prima di tutto. Diciamolo subito, le banche perderanno molti soldi, ma comunque nulla rispetto al costo finanziario ed emozionale sostenuto dall'imprenditore. Che non si tira certo indietro ed al quale vogliamo offrire qualche aiuto, a partire da queste poche righe.




giovedì 26 novembre 2009

Il Beta del settore alberghiero

Il Beta è una misura della correlazione tra l'andamento di un titolo azionario ed il mercato: i settori con Beta maggiore di 1 accentuano i movimenti di borsa, e viceversa. Misurare il Beta del settore alberghiero non è facile, perchè le aziende di questo settore quotate non sono molte ed operano prevalentemente in aree geografiche e con business models diversi da quello che ci servirebbe. Ecco comunque un tentativo.


Il settore alberghiero secondo Damodaran
Iniziamo ovvamente da Aswath Damodaran (Stern, NYU). Nella tabella dei Beta pubblicata a gennaio 2009 calcola il Beta di settore su un campione di 68 aziende quotate che comprendono sia catene alberghiere che catene di alberghi con attività di “gaming”, rilevando un Beta di 1,70. Corretto per un tax rate del 17,97% (un po' diverso dal tax rate italiano!) e considerando l'elevato leverage, ne deriva un Unlevered Beta di 0,84.

Riproviamo con un campione più mirato
Abbiamo ricalcolato il Beta di settore restringendo il campione alle sole catene alberghiere ed utilizzando i dati Reuters. Ne otteniamo un beta (media ponderata sulla capitalizzazione) di 1,11 e media semplice di 1,03.
Abbiamo poi provato con un campione ancora più ristretto, che comprende solo catene che operano anche in Europa e in Italia, ovvero una decina di labels che tutti conosciamo: Four Seasons, Marriott, Starwood, Hilton, sino alle europee NH, Accor e Club Med. Certo abbiamo un campione più significativo a livello di business ma meno affidabile a livello statistico. Comunque otteniamo una media ponderata del campione ristretto di 1,15 ed una media semplice di 1,14. Considerato l'indebitamento, l' Unlevered Beta che ne risulta è 0,534.

Confronto ed osservazioni
Il Beta unlevered del nostro campione è inferiore a quello di tutto il settore. Una spiegazione potrebbe essere che il nostro campione esclude il “gaming” che è ovviamente attività più volatile e rischiosa ed inoltre include solo aziende del settore alberghiero leader a livello internazionale e quindi con business più diversificato e stabile rispetto ad operatori presenti solo negli USA o in Asia. Un altro motivo puramente aritmetico potrebbe essere che il Beta di Damodaran è calcolato su un periodo più ristretto rispetto a quello di Reuters e quindi è più influenzato dalla crisi finanziaria dell'ultimo anno, ma non si riesce ad avere parametri abbastanza precisi per poter operare delle rettifiche sui questi dati.

Il Beta del settore alberghiero : conclusioni
Il Beta del settore alberghiero è inferiore all'unità: il mercato esprime un Beta unlevered nel range di 0,60 – 0,80. Quale leverage applicare per ottenere il Leveraged Beta e quale premio al rischio introdurre per aziende di ridotte dimensioni dipende ovviamente caso per caso.

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martedì 24 novembre 2009

La valutazione di un locale commerciale affittato

I valori immobiliari seguono usualmente dei parametri basati sul “prezzo a mq” in funzione della “location”. Quando però un locale commerciale è affittato, il calcolo del valore immobiliare è più complesso e si basa sul rendimento, sulla qualità del “tenant” e su alcuni aspetti contrattuali e fiscali da non trascurare. Vediamo come si fa.

Seguiamo un approccio molto semplice e pragmatico: proviamo a calcolare il valore attribuibile a locali commerciali locati ad un canone annuo di 50.000 Euro. Applichiamo inizialmente un metodo reddituale, poi uno finanziario.

Il valore reddituale

Il valore è dato dalla capitalizzazione del reddito per un tasso di rendimento atteso.

Il reddito da capitalizzare

Se il canone di locazione è di 50.000 Euro, il reddito da capitalizzare è di 50.000 Euro? Ovviamente no, bisogna calcolare (cioè sottrarre dal canone) i costi medi di manutenzione straordinaria, il costo del premio annuo per l'assicurazione dell'immobile, l'ICI, la quota dell'imposta di registro a carico della proprietà. Otteniamo così un reddito pre imposte (diciamo ad es di 36.000 Euro).

Il tasso di rendimento atteso

Il rendimento atteso è pari al rendimento risk-free di pari durata più un premio per la maggiore rischiosità dell'investimento immobiliare rispetto all'investimento risk-free.

Il rendimento risk-free lo leggiamo su qualsiasi giornale, è il rendimento a lungo termine dei titoli di stato (tabella rendimenti per durata finanziaria sul sole 24 ore).

Il premio per il maggior rischio ha tre principali componenti: un premio per l'illiquidità del nostro investimento (i BTP si vendono con un click sul computer, gli immobili no) che gli esperti considerano di due punti per cento; un premio per il rischio immobiliare direttamente correlato alla qualità urbanistica, cioè alla zona (ovviamente più basso in location top in centro a Roma rispetto a location periferiche); un premio correlato alla solvibilità dell'inquilino (rischio “tenant”: se abbiamo affittato ad una banca abbiamo maggiori probabilità che paghi regolarmente l'affitto rispetto ad una attività di “long distance call”). Il range può quindi essere da Zero (se siamo sicuri che questi ultimi due tipologie di rischio siano veramente nulle) a qualche punto percentuale (se siamo oltre abbiamo un problema). Ad esempio potrebbe risultare del 6,38% (3,38% rendimento risk free a 10 anni + 2% illiquidità + 1% location + 0% tenant).

Capitalizzazione

Il valore capitalizzando i 36.000 euro al tasso del 6,38% dà un valore di 564,263 euro. Tutto bene, o quasi, se siamo all'inizio del contratto ed abbiamo davanti un orizzonte temporale di 12 anni, ma se mancano pochi anni al termine? In questo caso dovo capitalizzare solo gli anni rimanenti e poi calcolare il valore di mercato che il bene avrà dopo essere stato liberato. Se l'inquilino svolgeva una attività a contatto col pubblico dovrò calcolare il costo dell'indennità di cessata locazione che debbo riconoscergli (75.000 euro) ed attualizzarlo (55.050 euro se tra 5 anni).

Ottengo comunque un valore pre-imposte, ma le tasse ci sono! L'imposizione cambia in base al soggetto percipiente, se società o persona fisica, e per questa conta anche se e quanti altri redditi produce, in quanto il reddito da immobili sarà assoggettato all'aliquota marginale più elevata. Il conteggio va allora effettuato caso per caso.

Insomma, il metodo mostra qualche limite.

Il valore finanziario

E' il valore attuale dei flussi di cassa netti che otterrò dal mio investimento immobiliare. Mi serve un foglio excel e qualche minuto in più, ma i risultati sono più accurati.

Il flusso di cassa

Per ogni anno, colonna dopo colonna, stimo sia i flussi di cassa positivi che negativi, compresi gli investimenti in manutenzione straordinaria, l'indennità di cessata locazione, le imposte ed il valore finale a fine contratto di locazione ed ottengo una riga col cash flow netto. Posso anche introdurre l'inflazione, sia sul canone (che non recupera tutta l'inflazione ma il 75%) che sui costi (la manutenzione cresce probabilmente più dell'ICI, ma meglio non scommetterci. Se ho contratto un mutuo, posso inserire anche le rate di rimborso.

Capitalizzazione

Se opero con i miei capitali, allora il tasso di sconto è lo stesso rendimento atteso visto sopra. Se invece opero a leva, cioè con un mutuo, posso scegliere due strade: inserisco le rate nel conteggio dei flussi ed applico lo stesso tasso visto prima o non inserisco le rate ed applico un tasso dato dalla media ponderata del mio rendimento atteso ed il costo del mutuo. Il risultato a livello matematico è lo stesso, ma lasciate la seconda opzione a chi ha più dimestichezza con queste cose. Il metodo finanziario permette quindi di essere molto più precisi e, visto che un foglio di calcolo sul pc lo abbiamo tutti, non c'é motivo di non provare ad utilizzarlo.

mercoledì 11 novembre 2009

La valutazione dell'azienda alberghiera: il valore della gestione

I tradizionali metodi di valutazione dell'albergo non distinguono tra valore della gestione e valore del real estate. Oggi invece molti alberghi hanno separato la proprietà immobiliare e la gestione dell'azienda alberghiera: sono infatti due business distinti, con un diverso profilo rischio/rendimento, spesso con una differente tipologia di soci e finanziatori. In queste note ci occupiamo del valore da attribuire alla gestione alberghiera.

Dal Price per Room al RevPar al DCF della gestione alberghiera
Un operatore del settore alberghiero conosce il Price Per Room di un albergo a quattro stelle a Roma piuttosto che a Venezia. Il Price per Room é la capitalizzazione di indici di redditività alberghiera come il RevPar ed il NoiPar (si vedano gli articoli specifici). In pratica é l'applicazione di un moltiplicatore del reddito, metodo semplice ed efficace quando serve una stima veloce. Nessuno però si sogna di investire i propri soldi sulla base di un calcolo così approssimativo: quello che serve é una stima del valore della gestione basata sul DCF, dopo aver sviluppato un modello economico-industriale della gestione alberghiera. Vediamo come.

Il modello gestionale
I modelli gestionali più utilizzati sono di tipo top-down: si effettua un'analisi della domanada di ricettività alberghiera del bacino di riferimento su l'intero anno (es. Analisi dei flussi turistici, fiere, eventi, ecc.) ed un'analisi del posizionamento competitivo dell'albergo rispetto ad altri alberghi (compresi quelli in costruzione e in progetto) sui diversi target individuati. Su tali basi si determina l'attrattività relativa attuale e prospettica ed il pricing, da cui si elaborano le stime sull'evoluzione attendibile di occupancy e ricavi. La struttura del conto economico é piuttosto standardizzata per categoria e tipologia di albergo, come pure i costi di esternalizzazione tipici e di affiliazione a catene: ricaviamo quindi i margini di redditività attuale e prospettica.

Canone di locazione e Capex della gestione alberghiera
Come per la valutazione delle strutture alberghiere, anche in questo caso torna la problematica del canone di locazione e del Capex. Il canone di locazione é ovviamente un costo per il gestore, costo che diventa problematico se supera lo standard del 8%-12% dei ricavi. Il Capex potrebbe essere contrattualmente a carico del gestore per quanto riguarda la manutenzione straordinaria: é un costo che viene facilmente dimenticato dal gestore, salvo quando diviene indispensabile.

Orizzonte temporale della gestione alberghiera
Corto, assai inferiore al termine contrattuale. Meglio capire subito se i flussi reggono, altrimenti non si arriva a termine contratto e si deve passare la mano ad altri.

Il leverage della gestione alberghiera
Di norma é basso, praticamente il gestore lavora con i mezzi propri, anzi dovrebbe avere un cash flow positivo.

Il tasso di attualizzazione della gestione alberghiera
Il WACC consiste di quasi solo capitale, il Beta di settore da noi calcolato su un campione di aziende rilevanti per un confronto con strutture italiane (sul 2008 pre crisi finanziaria) é di 1.14. Il Terminal Value può essere calcolato anche con i multipli sul fatturato rilevabili da indagini di mercato per la località ove é ubicato l'albergo. Data la crescente alfabetizzazione dei gestori d'albergo, i multipli di mercato tendono a rispecchiare sempre di più il valore economico sottostante. In altri termini, se la gestione rende, allora ha anche un valore di potenziale cessione, se non rende
non riusciremo certo a valorizzarla adeguatamente cedendola ad un altro gestore.

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La valutazione dell'azienda alberghiera: il valore del real estate

I tradizionali metodi di valutazione dell'albergo non distinguono tra valore della gestione e valore del real estate. Oggi invece molti alberghi hanno separato la proprietà immobiliare e la gestione dell'azienda alberghiera: sono infatti due business distinti, con un diverso profilo rischio/rendimento, spesso con una differente tipologia di soci e finanziatori. In queste note ci occupiamo del valore da attribuire alla struttura immobiliare (Real Estate), in un'altra nota vediamo invece il valore da attribuire alla gestione alberghiera.

Il metodo da utilizzare

I metodi più idonei per stimare il valore della struttura immobiliare di un albergo, il Real Estate, sono quello reddituale e quello finanziario. Il metodo reddituale é più semplice e funziona quando si é all'inizio del periodo contrattuale di locazione e sono già stati effettuati tutti gli investimenti necessari all'utilizzo dell'albergo. Il metodo finanziario é più articolato ed é indispensabile se dobbiamo introdurre la variabile del rinnovo del contratto di locazione e/o dobbiamo stimare rilevanti Capex di manutenzione straordinaria e rinnovo della struttura alberghiera.

L'orizzonte temporale della struttura immobiliare di un albergo

Il proprietario del Real Estate di un albergo é tipicamente un investitore poco attivo con un basso profilo rischio/rendimento: a livello internazionale é spesso un investitore istituzionale con un orizzonte temporale di lungo periodo (ad esempio gli arabi hanno da sempre reinvestito parte dei proventi petroliferi nel real estate alberghiero). La redditività dell'investimento deriverà sia dal canone di locazione, di poco maggiore rispetto al rendimento ottenibile con investimenti finanziari a bassa volatilità attesa, e dalla rivalutazione immobiliare di lungo termine. Sia nel metodo reddituale che nel DCF dovremo quindi adottare un modello con un orizzonte temporale di lungo periodo, di durata pari al periodo di locazione ed inoltre le aspettative di rivalutazione espresse dal Terminal Value rappresenteranno una quota rilevante del Present Value totale attribuito al Real Estate dell'albergo.

Il canone di locazione della struttura immobiliare di un albergo

Il canone di locazione é evidentemente il valore più importante di qualsiasi valutazione. E' abbastanza inutile pensare a quale sarebbe un valore a metro quadro dell'albergo in una data località: se il canone di locazione é poco attraente, un semplice calcolo di attualizzazione riporterà il valore economico dell'albergo ad un livello totalmente diverso. Il rilevante aumento dei valori immobiliari del decennio 1996-2006 ha creato una generale situazione di inadeguatezza dei canoni di locazione alberghieri rispetto al valore teorico dell'immobile. Alcune proprietà hanno reagito introducendo strutture contrattuali più complesse, mediante le quali la remunerazione non é fissa come nel contratto di locazione, ma viene aumentata in base a parametri sul volume d'affari o sulla redditività della gestione alberghiera. Cosa legittima e comprensibile, semprechè sia chiaro che in questi casi aumenta il rendimento atteso in quanto la proprietà del Real Estate si sta assumendo una parte del rischio imprenditoriale che sarebbe proprio della gestione alberghiera. Insomma “there is no free lunch”.

Gli investimenti in manutenzione strordinaria e rinnovo (i “CAPEX”)

Le strutture alberghiere in Italia sono spesso piccole, vetuste, poco curate nel design ed inadeguate tecnologicamente. Si tratta di strutture alberghiere ubicate in posizioni privilegiate, ovvero nei centri storici, ma con immensi problemi normativi e pratici che rendono la ristrutturazione un'opera tremendamente lunga e costosa. In questi casi dobbiamo introdurre nel modello di valutazione i Capex, cioé gli investimenti necessari per ottenere la struttura alberghiera ottimale rispetto al suo utilizzo. Nel metodo economico si calcola un valore teorico dell'albergo rimesso a nuovo e da questo valore si deduce il costo del Capex per ottenere il valore allo stato attuale. Il ricorso ad un modello di valutazione finanziario come il DCF é però l'unica via percorribile per mantenere il margine di errore sotto controllo.

La fiscalità sugli immobili

La problematica della fiscalità viene spesso ignorata, ma ha un peso tutt'altro che marginale nello stimare il valore della struttura immobiliare di un albergo. L'attuale trattamento fiscale delle società immobiliari sembra disegnato apposta per scoraggiare qualsiasi investimento di questo tipo. Se un determinato ammontare di canone da locazione può sembrare interessante, la cosa cambia una volta considerato il reddito netto in capo all'investitore. Si pensi che l'Irap é nel caso una tassa sul fatturato, che l'Ici non si deduce dall'Ires, che la deducibilità degli oneri finanziari ai fini Ires é permessa se relativi all'acquisto dell'immobile ma non é permessa per gli oneri finanziari al funzionamento. Insomma, sembra difficile ricavare un reddito netto imposte attrattivo rispetto ad altre forme di investimento immobiliare.

Il leverage della struttura immobiliare di un albergo

La struttura finanziaria si presta ad un leverage elevato, compatibilmente con il cash flow e con i limiti fiscali vigenti. Un leverage elevato é peraltro in linea con le aspettative dell'investitore di questa tipologia: un basso interesse per i flussi di reddito, che vengono assorbiti dal servizio del debito, e maggior attenzione alla rivalutazione a lungo termine.

Il tasso di attualizzazione della struttura immobiliare di un albergo

Per gli esperti di WACC, osserviamo infine che il Beta da applicare non é quello del settore alberghiero ma quello assai più basso di un investimento immobiliare a reddito, semprechè il rischio imprenditoriale sia interamente accollato al gestore e questi sia ente o persona di comprovata serietà e capacità. Il Beta unlevered da noi calcolato su un campione di aziende rilevanti per un confronto con strutture italiane é dello 0,534 (dato calcolato sul 2008 pre crisi finanziaria).

I metodi di valutazione nel settore dell'ospitalità

Quanto vale un albergo?

Le tecniche di valutazione aziendale applicate al settore alberghiero incrociano gli aspetti reddituali e finanziari tipici delle aziende commerciali con gli aspetti patrimoniali e fiscali degli investimenti immobiliari. La crescente finanziarizzazione delle strutture alberghiere sta apportando diversi cambiamenti nella modalità con cui si stima il valore di un albergo. Vediamo inizialmente alcuni aspetti di base, tipici per gli alberghi ove real estate e gestione fanno capo alla stessa proprietà, che permettono comunque di calcolare se la performance dell'albergo è più o meno adeguata rispetto al valore dell'investimento nell'albergo.

Questi criteri di valutazione fanno usualmente riferimento a quattro metodologie: il costo del bene immobiliare, il confronto con altre transazioni di mercato, il reddito dell'albergo, i flussi finanziari.

Il Valore di corrente utilizzo di una struttura alberghiera

L'approccio del costo dà una stima del valore dell'albergo basato su elementi tipicamente patrimoniali. La metodologia fa riferimento al Valore Corrente di Utilizzo (“VCU”). In estrema sintesi, si stima il valore in base ai parametri immobiliari (come per altri edifici a diversa destinazione), all'impiantistica ed agli arredi ed attrezzature. Il VCU é basato sul prezzo che dovremmo sostenere per ricostruire tutti i beni che valutiamo, scontato in base all'attuale deperimento di ogni bene oggetto di valutazione rispetto al valore a nuovo. Questa metodologia deve essere effettuata da tecnici di provata competenza sia immobiliare che alberghiera specialmente per stimare in modo appropriato il tasso di obsolescenza tecnica ed economica dei beni.

I metodi basati sul reddito della gestione alberghiera

I metodi basati sul reddito stimano il valore di un albergo capitalizzando il reddito dell'albergo per un tasso di capitalizzazione che esprime il rendimento medio atteso da questo tipo di attività. Il reddito di riferimento é quello stimato “a regime” dopo aver realizzato gli interventi di ristrutturazione e razionalizzazione gestionale più ovvii ed evidenti, così da ottenere una redditività normale ed in linea con analoghe strutture del settore. Il tasso di capitalizzazione utilizzato viene calcolato in base al WACC per quel tipo di struttura. In pratica si calcola il reddito a regime, lo si capitalizza al tasso calcolato col WACC e si deducono i costi di ristrutturazione necessari per mettere la struttura a regime.

Il confronto di mercato nella valutazione alberghiera

Gli strumenti di valutazione di mercato consistono nell'applicare all'albergo da valutare dei multipli di prezzi di mercato che hanno per riferimento alcuni indicatori caratteristici della gestione alberghiera. Stimiamo così il valore di un albergo basandoci su multipli sul RevPar (Revenues Per Available Room), sul GopPar (Gross Operating Profit Per Available Room), sul NoiPar (Net Operating Income Per Available Room) caratteristici della località in cui é ubicata l'albergo.

In estrema sintesi, gli operatori hanno in mente il valore di mercato “a stanza” (Price per Room) attribuibile ad una struttura alberghiera in ogni località, prezzo di riferimento articolato per le diverse categorie di classe di un abergo. Così calcoliamo il valore basandoci su quanto mediamente vale nel 2009 una stanza di un albergo quattro stelle nuovo o ristrutturato a Sanremo piuttosto che in centro a Roma. E' un metodo evidentemente semplicistico ma comunque efficiente, che ha il pregio di riassumere il criterio di valutazione di un albergo in un solo parametro di immediata applicazione.

L'approccio del confronto di mercato richiede la presenza di un tessuto economico ricco di assets comparabili. E' quindi di immediata funzionalità in contesti ad alta presenza turistica o business, per contro difficilmente applicabile per unità alberghiere ubicate in contesti unici.

I metodi finanziari nella valutazione alberghiera

Il limite dei metodi che abbiamo visto sono ovvii: non ha granchè senso stimare dei valori senza poi correlare il valore immobiliare al reddito gestionale, anzi, meglio, ai flussi finanziari che l'albergo produce. I metodi finanziari cercano quindi di analizzare tramite un modello previsionale i flussi di investimenti, costi e ricavi onde derivarne un valore di equilibrio basato sul costo del capitale. Tipico degli investitori (qundi di chiunque sia proprietario di un albergo) é utilizzare metodi finanziari che correlino gli aspetti di investimento immobilaire con quelli reddituali e finanziari, con attenzione alla fiscalità: il DCF e l'EVA sono i metodi più utilizzati.

Real Estate di una struttura e gestione alberghiera

Finchè facciamo riferimento ad un albergo nel quale proprietà immobiliare e gestione dell'azienda alberghiera si sovrappongono ed inoltre l'immobile é nuovo, moderno e richiede limitati interventi di manutenzione ordinaria e strordinaria, allora i metodi di valutazione indicati sono facili da applicare e funzionano egregiamente. Ma in Italia spesso non é così, ben conosciamo i problemi di necessità di ammodernamento delle strutture alberghiere ed i problemi dei valori immobiliari cresciuti a dismisura nel decennio 1996-2006, rispetto ai quali il reddito della gestione alberghiera sembra costantemente inadeguato. Vediamo quindi separatamente come affrontare entrambi gli aspetti.


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martedì 3 novembre 2009

L'Equity Value Map del settore bancario prima e (dopo?) la crisi finanziaria

Nel settore bancario i multipli dei prezzi di borsa più semplici e più utilizzati sono il P/E ed il P/BV.

Se vogliamo rappresentare l'intero settore con un indicatore sintetico, calcoliamo il P/BV di ciascuna delle banche quotate, calcoliamo il rispettivo ROE e poi correliamo il P/BV al ROE di ciascuna delle banche quotate: sull'asse x posizioniamo il ROE (ad es. il 6%) e sulla Y il P/BV (ad es. lo 0,8): otteniamo un punto che esprime la capitalizzazione rispetto al patrimonio di una banca al variare della redditività. Posizioniamo tutti i valori così ottenuti nella stessa mappa di valori (sempre ascisse ROE ed ordinate P/BV) ed estraiamo con excel una retta di regressione. Abbiamo ottenuto una Equity Value Map del settore bancario, nella quale la retta rappresenta come il mercato valorizza l'avviamento del settore rispetto ai mezzi propri, ad una certa data, in base al ROE di ciascuna banca.

L'Equity Value Map ha la forza delle cose semplici: è utile sia per confrontare tra loro le varie banche nello stesso momento di mercato (vediamo infatti a quali banche il mercato attribuisce più avviamento), sia per monitorare la performance relativa di una singola banca rispetto ai competitors in un determinato arco di tempo (vediamo se la posizione della banca che seguiamo migliora o peggiora), sia, infine, per capire i value drivers di settore nel tempo.

Non analizziamo ora il primo tipo di confronto (utile a capire quale banca è maggiormente apprezzata rispetto da un benchmark matematico), né il secondo (utile ai manager di ogni banca per registrare quanto il mercato apprezzi i risultati ottenuti) ma ci focalizziamo sul terzo, il più interessante a livello di sistema.

Per semplicità leggiamo la Equity Value Map del settore bancario odierno e di due anni fa.

Tutte e due le rette di regressione pongono un valore minimo (“a” nella formula della retta) piuttosto elevato: il valore storico è superiore allo 0.7x il book value, il valore attuale è di circa lo 0.6x il book value. Come dire, anche se la sua redditività è clamorosamente inadeguata, una banca viene comunque valorizzata una quota importante (appunto lo 0,6x – 0,7x) dei suoi mezzi propri.

La pendenza della retta (“b” nella formula della retta), con la crisi finanziaria si è appiattita, da 0.321 di due anni fa allo 0.235 di oggi. Due anni orsono le banche con alta redditività erano valutate assai di più di quanto lo sarebbero oggi anche se avessero mantenuto lo stesso ROE, come peraltro lecito attendersi vista la discesa dei P/E di mercato.

Forse meno ovvio è constatare come possiamo quantificare ciò che altrimenti è solo una sensazione, ovvero che per migliorare la propria capitalizzazione borsistica aumentare i mezzi propri oggi sembrerebbe più funzionale rispetto ad aumentare la sola redditività: l'impatto è cioé più veloce, viene immediatamente riflesso sui corsi di mercato.

Quindi, anche se l'annuncio di un aumento di capitale e l'utilizzo dei Tremonti bonds da parte di una banca non vengono interpretati dal mercato in modo granché positivo, forse per il timore che sottendano problemi non palesati, dobbiamo constatare che, finchè la Equity Value Map non cambia, sono operazioni che, dal punto di vista del mercato azionario, creano comunque valore.

sabato 31 ottobre 2009

Aspetti generali sui metodi di valutazione

Con il presente introduzione è nostra intenzione illustrare in maniera sintetica e generale i più diffusi metodi valutativi nella determinazione del valore di aziende in funzionamento.

Per "valore" dell'azienda intendiamo il valore dell'intero capitale economico aziendale, cioè, a livello contabile, il valore dell'insieme del capitale sociale e delle riserve (Equity Value). Tale valore corrisponde alla differenza tra il valore complessivo dell'azienda, inclusivo del suo avviamento (Enterprise Value) ed il valore corrente dei mezzi finanziari di terzi (Net Financial Debt).

La dottrina aziendalistica e la prassi di mercato hanno sviluppato molti diverse metodologie di valutazione. In funzione delle finalità di ogni valutazione si adotteranno le metodologie più idonee.

Il valore del capitale economico può essere definito "generale" e “stand alone” e viene stimato sulla base di considerazioni economiche oggettive.

Può essere differente al prezzo che un dato momento il mercato di borsa o la negoziazione tra cedente ed acquirente può attribuire al capitale dell'azienda sulla base di particolari situazioni congiunturali, forza contrattuale, sinergie industriali od altre considerazioni strategiche esterne all'azienda che viene acquisita. In tali casi è più opportuno ricorrere a metodologie che permettano di stimare il valore attribuibile da ogni specifico acquirente.

L'impostazione generale della valutazione “Stand Alone” fa oggi spesso riferimento all'Impairment Test introdotto dallo IAS 36 che stabilisce che ogni attività possa essere contabilizzata a bilancio ad un valore che risulti congruo rispetto al valore del suo potenziale realizzo di mercato ed al valore di utilizzo basato sui flussi di cassa che tale asset genera per il suo detentore.

Nell'ambito di tale schema generale esistono peraltro molteplici metodologie di valutazione, che vengono scelte in base alla tipologia degli assets e dei diversi settori industriali.

Le principali sono il metodo patrimoniale, il metodo reddituale, i metodi finanziari, i metodi di mercato. In ogni settore industriale infine si sono sviluppati metodi empirici basati su una o più elementi caratteristici propri del settore, che permettono di stimare un valore in modo veloce ancorchè molto approssimativo.

Il metodo patrimoniale

Attraverso il metodo patrimoniale si vuole esprimere il valore dell'azienda oggetto di valutazione come differenza tra gli elementi attivi e passivi che compongono il suo patrimonio.

Per valutare le attività si utilizzano tre diverse tipologie di valutazione: la valutazione patrimoniale semplice (sono oggetto di valutazione solo i beni materiali presenti nel patrimonio aziendale), la valutazione patrimoniale complessa di primo grado (oltre ai beni materiali si considerano come componenti della valutazione anche i beni immateriali aventi un valore di mercato); la valutazione patrimoniale complessa di secondo grado (vengono considerati tutti i beni aziendali, materiali o immateriali ed aventi o meno un valore di mercato).

Per le passività si ricalcola il valore il valore corrente di tutti i debiti, l'adeguatezza del fondo TFR e l'impatto di eventuali passività, quali quelle tributarie, non esposte in bilancio.

La valutazione patrimoniale, qualunque essa sia, si sviluppa in diverse fasi:

  • Si ricalcola il capitale netto di bilancio, l'insieme quindi del capitale sociale, delle riserve e dell'utile corrente al netto delle somme che saranno distribuite quali dividendi e delle imposte differite sui fondi accantonati;
  • Si rettificano, se necessario, i valori degli elementi attivi non numerari, ripristinando attraverso plusvalenze e minusvalenze il loro effettivo valore di mercato. E' prassi ridurre il valore delle plusvalenze e delle minusvalenze dell'onere fiscale potenziale che risulterebbe da una rivalutazione effettiva delle poste di bilancio. Tale onere fiscale normalmente si calcola in una aliquota ridotta. In questa fase si renderà inoltre necessario analizzare che le attività e le passività siano state contabilizzate in modo corretto, che gli accantonamenti rispondano realmente al criterio di competenza. In riferimento alla valutazione dei crediti sarà opportuno verificare la congruità del Fondo rischi.


Esistono diverse tecniche per determinare il valore di mercato dei beni patrimoniali. L'utilizzo di una tecnica rispetto alle altre dipende dalla tipologia di bene e dall'esistenza o meno di un valore di mercato. Possiamo dividere i metodi di valutazione dei singoli beni in:

  • metodo del costo: si basa sul valore di rimpiazzo del bene, cioè del prezzo che l'acquirente dovrebbe pagare per assicurarsi il bene al di fuori dell'azienda. Questo valore dovrà naturalmente essere diminuito in base all'obsolescenza del bene. E' il metodo più appropriato per beni di non vasta diffusione, a volte unici e quindi privi di un prezzo di corrente;
  • metodo del mercato: il valore del bene é considerato pari a quello di beni simili la cui compravendita sia sufficientemente diffusa da definirne un prezzo di mercato. Anche in questo caso e' naturale una decurtazione del valore in base all'utilizzo del bene;
  • metodo del reddito: si considerano i redditi attesi futuri che il bene potrà generare e si determina il valore mediante una loro attualizzazione. Si usa sovente dove, per cause transitori di compravendita, il mercato non valorizza sufficientemente il valore del bene.


E' da rilevare come la determinazione del valore finale del bene risulti dall'utilizzo di più tecniche valutative. Ad esempio, il valore stimato di una immobilizzazione tecnica non può essere superiore al costo di rimpiazzo o inferiore al valore di liquidazione del cespite.

In conclusione, secondo tale metodologia il valore di una azienda risulta dalla somma di tutti gli elementi patrimoniali a valori correnti, sia che essi abbiano natura attiva che passiva. Il vantaggio del criterio patrimoniale è l'obiettività di valutazione. E' però da rilevare come tale obbiettività vada diminuendo progressivamente quando si passa dalla valutazione di beni materiali iscritti a bilancio, alla valutazione di beni immateriali.

In un giudizio critico di questa metodologia è da rilevare come tale criterio difficilmente possa essere esaustivo nella determinazione del valore aziendale. Il criterio patrimoniale infatti dà una visione statica dell'azienda tralasciando completamente quella che è la capacità reddituale della stessa: questo criterio di valutazione deve essere quindi affiancato da una analisi reddituale.


Il metodo reddituale

La trattazione del metodo reddituale si sviluppa attraverso:

1. la definizione della relazione che lega il valore dell'azienda al reddito atteso;
2. la determinazione del reddito;
3. la determinazione del tasso di capitalizzazione.


1. la relazione che normalmente lega il valore dell'azienda al reddito atteso é una funzione di capitalizzazione della serie dei redditi futuri attesi attualizzati. Essa si esprime come:

W = R / i

La formula di attualizzazione ha forma differente in funzione dell'intervallo temporale che si considera nell'analisi e del tasso di crescita dei redditi R: se l'orizzonte temporale è infinito si usa la funzione del valore attuale di una rendita perpetua; se l'orizzonte temporale è limitato si usa la funzione del valore attuale della rendita annua posticipata di durata pari ad "n" anni. Se si suppone un tasso di crescita infinita dei redditi R si utilizza la funzione di capitalizzazione perpetua (Gordon Model).


2. Nella determinazione dei flussi di reddito attesi si tenga presente che:
  • il reddito deve essere "normale", non deve cioè configurare componenti eccezionali la cui ripetizione non sia accertabile. Una possibile determinazione dei redditi è calcolare separatamente i redditi attesi dalla gestione corrente e considerare separatamente i redditi, di più incerta previsione, formatasi in gestioni accessorie;
  • il reddito deve essere stabile. Proprio perché attraverso questo criterio di valutazione si correla il valore dell'azienda all'attesa di redditi futuri, una azienda avente attività discontinua non permetterebbe di raggiungere risultati di valutazione soddisfacenti;
  • il reddito deve inoltre essere al netto delle imposte, degli oneri finanziari e della rimunerazione dell'attività svolta dall'imprenditore se agisce all'interno dell'azienda;
  • il reddito dovrà essere nominale o reale, coerentemente al tasso di capitalizzazione utilizzato al netto (reale) o al lordo (nominale) dell'inflazione. Se si sceglie per un reddito reale si dovrà adeguare le quote d'ammortamento ai valori di mercato ed utilizzare il metodo LIFO nella valutazione delle rimanenze.

3. Il tasso di capitalizzazione riflette la rimunerazione attesa per investimenti non soggetti a rischio, più una percentuale per il rischio connesso a quella specifica attività produttiva.

La quantificazione del rischio rimane uno fra gli elementi più complessi nell'intera valutazione. Fra i possibili criteri per la sua determinazione i più diffusi sono il criterio del tasso opportunità e il criterio del costo dei capitali. Secondo il tasso opportunità, il premio per il rischio dovrà essere pari ai rendimenti offerti da altre aziende operanti nello stesso settore e sufficientemente omogenee all'azienda valutata. Il criterio del costo dei capitali calcola invece il tasso di capitalizzazione come quel tasso che riflette il costo medio dei capitali impiegati dall'azienda.


In conclusione, i metodi reddituali considerano l'azienda come una unità di creazione di reddito e quindi il valore aziendale si definisce in base alla redditività futura attesa dai soci.

Il criterio reddituale risponde pienamente alla richiesta dell'investitore interessato a conoscere il rendimento economico del proprio investimento. Esso permette inoltre una corretta valutazione di tutte quelle imprese che a fronte di buone capacità di crescita reddituale abbiano elementi patrimoniali non elevati.

Se è evidente la superiorità teorica del criterio reddituale rispetto a quello patrimoniale è da rilevare come il reddito atteso futuro possa essere determinato solo soggettivamente. L’adozione di tale metodo in sede di perizia richiede quindi evidente cautela.

I metodi misti

Tra i possibili metodi di sintesi dei valori patrimoniale e reddituali, la metodologia tradizionalmente più utilizzata è il metodo della capitalizzazione limitata del sovrapprofitto medio. Esso si esprime nella somma del valore del capitale netto rettificato e dell'eventuale avviamento positivo (Goodwill) o negativo (Badwill).

In formula:

W = K + ( R - i * K ) * a n!i'


Vediamone i singoli elementi:

· K = capitale netto rettificato;

· R = reddito netto atteso normalizzato

· i = tasso d'interesse "normale" rispetto all'investimento considerato

· i' = tasso di attualizzazione del sovrareddito

· n = numero definito e limitato di anni pari alla durata prevista del "sovra" o "sotto" profitto.


I valori di "K" e "R" sono analoghi a quelli calcolati nei metodi precedenti. I

n riferimento agli altri elementi consideriamo che il valore di "n" é pari all'aspettativa di avere sovrapprofitti rispetto alla capacità media reddituale del settore. Tale valore é limitato perché è ragionevole supporre che i sovrapprofitti non possano durare a tempo indefinito. I

l valore di "i" esprime il rendimento giudicato soddisfacente rispetto al rischio aziendale e del settore; "i'" é il tasso di attualizzazione e rappresenta il valore finanziario del trascorrere del tempo che non dipende dal rischio aziendale ma si ricollega a parametri finanziari.

Una variante di questo metodo é considerare la presenza dei sovrapprofitti come illimitata nel tempo. In questo caso si rende opportuno assumere un più elevato tasso di capitalizzazione "i'" così da diminuire il peso dei sovrapprofitti più lontani, la cui realizzazione è meno prevedibile.


In conclusione, con i sistemi misti patrimoniali-reddituali si è voluto attenuare le deficienze dei singoli metodi combinando l'obiettività del metodo patrimoniale con la validità concettuale del metodo reddituale. I metodi misti, anche se risultano da una sintesi dei sopravisti criteri, non si esauriscono in una semplice media dei valori risultanti dagli stessi ma elaborano delle metodologie per correggere il valore patrimoniale rispetto alla futura capacità reddituale dell'azienda.

I metodi finanziari: il DCF

Fra i diversi metodi finanziari il criterio più utilizzato nella prassi é il "Unlevered Discounted Cash Flow". Il metodo dei flussi di cassa scontati calcola il valore economico di un'azienda non in base al suo reddito ma in base ai flussi di cassa che genererà nel futuro, scontati per riflettere il valore del denaro nel tempo ed il fattore rischio.

La motivazione economica di questo metodo si basa su tre considerazioni:

  • il rendimento per l'azionista é composto dai dividendi e dal Capital gain. Questo si realizza se il mercato ha aspettative di miglioramenti aziendali ed incremento di dividendi;
  • dipendenti, fornitori, finanziatori ed azionisti vantano diritti ed aspettative cui l'azienda fa fronte tramite i propri flussi di cassa;
  • l'azienda può far fronte a queste uscite finanziarie generando Cash Flow internamente o ottenendo finanziamenti sulla base della propria capacità di ripagarli.

La formula che lega il valore dell'azienda ai flussi di cassa é pari a:

W = V - P con: V = S CFt + VF

· W = valore del capitale (Equity Value);
· V = Totale valore azienda (Value of Capital Employed);
· P = passività nette (Value of Debt);
· CFt = flussi di cassa nel periodo analizzato;
· VF = Terminal Value

Nella determinazione del Valore totale dell'azienda si distingue il calcolo dei flussi di cassa attesi stimati anno per anno, dal Valore attuale del Terminal Value.

I flussi di cassa che verranno scontati sono calcolati sottraendo al Cash Flow operativo (utili più ammortamenti) gli investimenti in capitale fisso e circolante necessari ogni anno per mantenere invariata la struttura finanziaria aziendale.

I flussi cosi determinati (Free Cash Flow to the firm) rappresentano una misura della generazione di cassa disponibile all'azienda per ripagare i finanziatori, remunerare gli azionisti od effettuare nuovi investimenti.

Il "Terminal Value" corrisponde al valore previsto dell'azienda all'anno "n", ultimo anno del quale sono calcolati i flussi monetari attesi. L'ipotesi sottostante al calcolo del Terminal Value é la convinzione che dopo un dato periodo di anni i flussi di cassa raggiungono un livello di equilibrio e essendo stabili possano essere espressi attraverso un valore sintetico.

Il Valore totale dell'azienda é pari alla somma dei flussi di cassa fino all'anno "n" più il Terminal Value.

Il tasso di sconto deve riflettere il costo del capitale dell'azienda.
Questo tasso é la media ponderata del tasso di interesse pagato ai finanziatori ed del costo figurativo dei mezzi propri, calcolato tramite la formula del Capital Asset Pricing Model (CAPM).

Poiché i flussi di cassa sono stati calcolati al netto dell'imposizione fiscale dell'azienda, i tassi di sconto devono essere calcolati netti.

Il CAPM determina il costo del capitale in funzione del tempo e del rischio. L'elemento tempo è calcolato sulla base del rendimento ottenibile da un investimento a rischio nullo o minimo, come un titolo di stato. L'elemento rischio è calcolato come premio percentuale richiesto dall'investitore per investire in un titolo azionario anziché in un titolo di stato.

La rischiosità specifica dell'azienda o del settore in cui l'azienda opera è determinato dal coefficiente Beta.

Riassumendo la formula del CAPM è la seguente:

Re = Rf + B * ( Rm - Rt )

con:
Re = costo del capitale;
Rf = tasso di rendimento titoli senza rischio;
B = coefficiente Beta;
Rm = tasso di rendimento atteso dal mercato azionario.

In conclusione, secondo i metodi finanziari è possibile determinare il valore aziendale attualizzando i flussi di cassa che l'impresa realizzerà in un periodo futuro, periodo della durata generalmente di 5-10 anni. Il risultato di tale metodologia sarebbe uguale a quello reddituale solo se si verificasse una improbabile coincidenza tra flussi di cassa e redditi netti.

I metodi di mercato: Price Multiples

Nella prassi sono comuni due differenti metodi:

1. il raffronto con operazioni di compravendita effettuate per aziende simili;

2. il raffronto con il prezzo di borsa di aziende comparabili e appartenenti allo stesso settore d'attività.

Il primo metodo può essere utilizzato esclusivamente in quei settori ove si é avuto in un recente passato un numero sufficientemente amplio di compravendite. E' altresì necessario che nel settore si abbiano aziende sufficientemente omogenee come struttura e dimensioni.

Il confronto con aziende quotate è di comune prassi in mercati finanziari con un amplio listino di borsa. I confronti internazionali richiedono inoltre un lavoro di rielaborazione dei dati contabili per armonizzare le politiche di ammortamento e rivalutazione dei cespiti nonché diverse aliquote di imposizione fiscale.

Il raffronto viene effettuato sulla base di moltiplicatori di aspetti caratteristici dell'azienda. Rispetto alle imprese industriali gli indici più diffusi sono quelli reddituali:

·Price/Earning = il rapporto tra il prezzo e l'utile per azione;

·Price/Cash Flow = il rapporto tra il prezzo e il Cash Flow per azione;

·EV/Ebit = il rapporto tra il prezzo + il totale dell'indebitamento (Enterprise Value) e l'utile corrente ante oneri finanziari.

·EV/Ebitda = il rapporto tra il prezzo + il totale dell'indebitamento e l'utile corrente ante oneri finanziari ed ammortamenti di immobilizzazioni materiali ed immateriali

Altri moltiplicatori di uso diffuso hanno per riferimento l'attività caratteristica del settore: così ad esempio, l'ammontare delle riserve di greggio per una società petrolifera, i premi emessi da una compagnia di assicurazione, la massa intermediata e il numero di sportelli di un'azienda di credito, ecc.

Un approccio dinamico alla valutazione tramite multipli è il Price Earnings Growth (PEG): il confronto non viene effettuato solamente sulla base dei risultato economici dell’anno passato o in corso ma piuttosto sulla previsione di redditività a tre/cinque anni. Ciò permette di cogliere le evidenti differenze tra aziende che, a parità di redditività attuale, mostrano un diverso trend di sviluppo.

Il vantaggio innegabile di questi metodi è il limitato numero di variabili in uso e quindi la semplicità di utilizzo e l’immediatezza dei risultati. Peraltro questi metodi abbinano imprecisioni a volte rilevanti.

Un metodo reddituale - finanziario: l'EVA

L’EVA (acronimo di Economic Added Value) è un metodo che abbina alcuni aspetti già incontrati nell’approccio di tipo finanziario e reddituale è sempre più maggiormente utilizzato per la valutazione dell'operato del management e più in generale anche dell'azienda.

Il valore dell’azienda è calcolato sulla base del
capitale investito più la capacità di creare un valore incrementale, mediante la creazione di un reddito maggiore rispetto alle aspettative di reddito medie del settore. EVA è quindi la differenza tra il ritorno attuale e quello aspettato, moltiplicata per il capitale investito.

Il valore di una società è considerato pari al capitale investito più la somma di tutti i futuri EVA attualizzati. Quindi:

EV = CI + (Somma EVA attualizzati)

EV = Enterprise Value
CI = Capitale Investito

È calcolato come media dei valori di fine anno e formato da mezzi propri e mezzi finanziari apportati da terzi;
La formula utilizzata per il calcolo della somma EVA attualizzati è la seguente:

EVA = (ROIC - Wacc) * CI

ROIC = return on invested capital = NOPAT / IC

NOPAT = Net Operating Profit After Taxes, si tratta del reddito operativo netto, depurato cioè della componente fiscale (meglio figurativa se si tratta di flussi previsionali)

Il WACC = Weighted Average Cost of Capital, come già visto, è il costo medio ponderato del capitale, ovvero il rendimento medio atteso dal mercato per aziende di un determinato settore industriale.

EVA Spread è la differenza tra rendimento reale (ROIC) e rendimento atteso (WACC).

Anche l’EVA Value, ovvero il maggior valore generato dall’azienda rispetto al valore medio atteso dal settore, viene calcolato su base aritmetica perpetua e viene attualizzata ad oggi per tenere conto del valore del denaro nel tempo. Al valore globale calcolato vengono infine dedotti i mezzi finanziari di terzi per ottenere il valore del capitale economico.

Per quanto l’EVA analizzi la creazione di reddito rispetto al metodo DCF che analizza anche la generazione di cassa, è evidente l’analogia matematica trai due metodi, che non devono quindi essere abbinati per evitare valutazioni tautologiche.

I metodi di valutazione: l'Impairment Test

Il test di Impairment

Il test di Impairment nella valutazione delle attività, introdotto dal principio contabile internazionale IAS 36, definisce che ciascun asset dell'azienda sia iscritto in bilancio ad un valore non superiore a quello cosiddetto recuperabile, inteso come il valore che può essere ottenuto dall'utilizzo di tale asset o dalla sua vendita sul mercato. Il test si sviluppa mediante la stima di due valori, il “Fair Value less Costs to Sell” ed il “Value in Use”.

Entrambi i valori hanno una stretta dipendenza dai flussi che la società partecipata é in grado, in prospettiva, di generare ed hanno un significativo radicamento nelle condizioni di mercato al momento della stima. Il Test di Impairment attualmente rappresenta la schema di riferimento rispetto al quale si adottano i diversi metodi di valutazione di attività in ipotesi “stand alone”..

Riguardo i principi che ispirano la stima di ciascuno dei due valori alcuni aspetti salienti sono:

Fair Value less Costs to Sell (= Valore di realizzo)

E' l'ammontare ottenibile dalla cessione sul mercato di tale asset al netto dei costi di dismissione. Riflette quindi le attese del mercato, così come espresse e sintetizzate nel prezzo che un generico investitore sarebbe disposto a pagare in quel momento per quell'asset in una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili. La metodologia applicabile fa riferimento ad eventuali accordi di vendita o ai prezzi rilevabili su un mercato attivo per tale asset o, in mancanza di questi, é stimato in base a tecniche di valutazione che utilizzano il confronto con recenti transazioni aventi per oggetto asset comparabili con l'oggetto della valutazione.

Value in Use (= Valore di utilizzo)

Calcola il valore di utilizzo dell'asset come valore attuale dei flussi di cassa che il detentore ritiene che tale asset genererà nel futuro. Valorizza quindi le previsioni di flussi attesi formulate dal soggetto che detiene l'asset. E' un valore specifico, determinato in funzione delle conoscenze e delle attese di un definito detentore. La metodologia applicabile é quella dell'Unlevered Discounted Cash Flow, con tutte le indispensabili cautele nella stima dei flussi attesi da parte del management e nella tecnica di attualizzazione.

Il confronto tra valori

L'Impairment test non esprime alcuna preferenza tra i due valori così calcolati ma stabilisce che i valori di iscrizione dell'asset a bilancio sono congrui se non sono superiori alternativamente o al valore di utilizzo o al valore di realizzo.

Cap 1 Le tipologie di analisi di bilancio

Informazioni e schema dell’analisi


Il bilancio di esercizio è il principale strumento con cui ogni anno possiamo capire lo stato di salute di un’azienda, la nostra e le altre. E’ composto da una relazione del consiglio di amministrazione sull’andamento della gestione, da uno stato patrimoniale, da un conto economico e da dettagli allegati. Le aziende meglio organizzate redigono anche il rendiconto finanziario.


Il conto economico ci illustra com’è stato l’andamento dell’ultimo anno rispetto al precedente e quale é stato l’utile o la perdita dell’esercizio. Lo stato patrimoniale ci illustra che cosa l’azienda possiede, in beni e crediti, alla data di fine anno e quanti debiti ha e con chi. Il rendiconto finanziario illustra i flussi finanziari in entrata ed uscita.


L’analisi di bilancio fornisce degli strumenti (tabelle di riclassificazione e indici di bilancio) su come si leggono ed interpretano i dati finanziari inseriti in un bilancio. Anziché fornire un panorama di tutte le analisi finanziarie possibili, noi cercheremo di identificare quali sono gli aspetti veramente importanti nell’analisi di un’azienda e per ciascuno cercheremo di trovare gli indicatori adatti a rappresentarlo e misurarlo.


In sintesi seguiremo questo processo:

Dal conto economico cercheremo di capire quanto l’azienda é redditizia nello svolgere la sua attività caratteristica, sia in valore assoluto che rispetto a quanto otteneva negli anni passati e rispetto alle aziende concorrenti del suo settore.


Vedremo quindi se la redditività dell’attività caratteristica é aumentata o viene assorbita da altre attività collaterali o da eventi straordinari che sono accaduti nell’anno considerato ma che di norma dovremmo ritenere che non si manifesteranno nuovamente. L’utile netto dell’esercizio sarà inoltre condizionato dagli oneri finanziari che l’azienda corrisponde ai finanziatori e dal carico fiscale.


Dallo stato patrimoniale cercheremo di capire quanti capitali sono stati investiti nell’azienda e come questi investimenti sono ripartiti tra attività fisse, come immobili e macchinari, ed attività a breve termine, come crediti verso clienti e magazzino. Osserveremo anche quali sono le fonti finanziarie, ad esempio debiti verso le banche o versamenti effettuati dai soci, a cui l’azienda attinge per effettuare i suoi investimenti



Dal confronto dei cambiamenti nello stato patrimoniale tra un anno ed il successivo otteniamo il rendiconto finanziario, cioé uno schema di flussi di cassa che ci permette di capire in ogni anno quali nuovi fondi sono stati utilizzati e come.


Da questa base complessiva potremo quindi trarre delle considerazioni generali utilizzando degli indici incrociati, che ci permetteranno di capire tra l’altro se l’azienda fa un buon utilizzo delle risorse che utilizza, se cioè la redditività é più o meno adeguata rispetto alla quantità di capitali che l’azienda ha investito e se l’azienda attinge a risorse di capitale e di debito in modo proporzionato ed adatto alla sua attività.



Orizzonte temporale e schemi di analisi più idonei
Le metodologie di analisi di bilancio illustrano molti schemi di riclassificazione e molti indici finanziari diversi. Noi ne vedremo solamente alcuni e cercheremo di utilizzarli in modo mirato alle specifiche necessità della nostra analisi.

Il primo aspetto per decidere su quale elementi dobbiamo focalizzare la nostra attenzione è ripensare alla finalità della nostra analisi. Vediamo con alcuni esempi:

  • se siamo risparmiatori potenzialmente interessati ad acquistare le azioni della società, o le abbiamo già in portafoglio, guarderemo con particolare interesse alla sua redditività cioè agli utili della società ed ai suoi dividendi;
  • se siamo dipendenti guarderemo a quanto la società è ben capitalizzata ed ha mezzi finanziari per investire e crescere;
  • se siamo finanziatori guarderemo alla capacità della società di far fronte al carico di oneri finanziari che deve corrispondere sul nostro finanziamento ed alla capacità della società di rimborsarlo alla sua scadenza;
  • se infine vogliamo capire di più della nostra azienda, guarderemo alla redditività dei diversi tipi di prodotti, o di diversi unità di produzionei o di diversi mercati di sbocco, applicheremo quindi i principi di analisi di bilancio alle singole aree (le business units) anziché all’intera azienda.
Un secondo elemento importante è l’orizzonte temporale della nostra analisi: alcuni elementi sono importanti nel breve periodo, altri lo sono di più su un periodo più lungo.

Ad esempio, se la società vende un immobile è un elemento positivo o negativo? Se l'azienda deve rimborsare finanziamenti e non ha più risorse finanziarie e vende l’immobile per far fronte a quest’impegno possiamo considerare questa cessione in modo favorevole e tranquillizzante. Forse non daremmo lo stesso giudizio come dipendenti o investitori di lungo periodo!



I flussi di cassa: generazione di cash flow dalla gestione o dagli assets


Nell’analisi degli aspetti finanziari, come ad esempio la capacità di far fronte ai debiti con il sistema bancario, un aspetto importante è capire se l’azienda genererà i fondi per ripagare i finanziamenti con il suo reddito (cioè con il suo cash flow) o liquidando qualche suo bene (cioè con i suoi assets, con le proprie attività). La differenza è infatti notevole.
L’azienda liquida il finanziamento con i suoi assets tutte le volte in cui l’azienda acquisisce qualche attività che le serve momentaneamente ma che verrà immediatamente rivenduta; non appena è rivenduta il finanziamento viene ripagato.


Questo accade per un costruttore che allestisce un palazzo per rivendere gli appartamenti, per un’azienda commerciale che acquista prodotti all’estero per rivenderli in Italia, per una società di leasing che chiede un finanziamento per poter a sua volta effettuare un’operazione di leasing con un proprio cliente.



In tutti questi casi il motivo del finanziamento è poter effettuare un’operazione industriale o commerciale che produce da sola la liquidità per estinguere il finanziamento. Diciamo che è “autoliquidante”.


Diverso è il caso in cui il finanziamento, pur avendo una sua motivazione industriale, non è autoliquidante: un finanziamento ad un’azienda per costruire un nuovo impianto industriale non viene ovviamente ripagato alla cessione dell’impianto ma dovrà essere ripianato gradualmente nel tempo grazie al maggior cash flow che verrà generato grazie al nuovo impianto.

Cosa cambia nella nostra analisi?


Nel caso di finanziamenti autoliquidanti, è importante strutturarli in modo idoneo rispetto alle fonti di liquidità: guarderemo ceduti, al valore che avranno, al tempo necessario per cederli, ecc. Nell’analisi di bilancio sarà cioè particolarmente importante studiare gli elementi patrimoniali.

Se invece la fonte di ripianamento del finanziamento sarà la capacità di creare una maggiore redditività, l’elemento più importante sarà l’analisi della redditività del conto economico e la generazione di cassa nel rendiconto finanziario.



Business Risk e Financial Risk


Il giudizio che deriviamo dall’analisi di bilancio può essere diverso per aziende con indici di bilancio sostanzialmente simili. Questo accade ogni volta in cui è diversa la rischiosità dell’attività dell’azienda.


L’impresa affronta rischi connessi al suo mercato, ai concorrenti, ai prodotti: nell’insieme affronta rischi ed opportunità legate alla sua attività caratteristica, legate al suo tipo di business.



In mercati fortemente competitivi, internazionali ed aperti all'innovazione tecnologica vi sono maggiori opportunità di successo rispetto a settori industriali tradizionali. Ma ci sono anche maggiori rischi.


Analogamente la stessa azienda può decidere di finanziare la propria attività con molti mezzi propri, investiti in forma di capitale dai propri azionisti, e con pochi finanziamenti bancari o viceversa, con pochi mezzi propri e molti debiti. I finanziamenti esterni aumentano i mezzi finanziari ed i soci possono perseguire più opportunità di sviluppo.


Più aumenta la quota dei finanziamenti più aumenta però il rischio finanziario: infatti un rialzo dei tassi di interesse rende i finanziamenti più costosi di quanto l’azienda ha preventivato; l’obbligo di ripagare i finanziamenti può influire sulle decisioni di effettuare nuovi investimenti per lo sviluppo.


Possiamo concludere che ci aspettiamo che un’azienda che già affronta alti rischi legati al proprio business preferisca operare con pochi debiti e limitare i rischi finanziari, mentre un’azienda con un rischio di business più limitato possa permettersi una struttura finanziaria più aggressiva.



Modellare l’analisi finanziaria in funzione delle nostre finalità

In conclusione, nell’analisi di bilancio cercheremo di capire la sua capacità dell'azienda di generare reddito e di creare flussi finanziari positivi, studiando la quantità di risorse che l’azienda impiega e l’efficienza nel loro utilizzo ed analizzando la struttura delle fonti finanziarie con cui l’azienda ha acquisito le sue attività. Cercheremo inoltre di capire come tutti questi aspetti sono correlati tra loro.

Nel corso dell’analisi seguiremo uno schema generale adatto a qualsiasi situazione: sappiamo però che ogni volta dovremo approfondire alcuni aspetti dell’analisi a seconda se vogliamo guardare ad un orizzonte temporale di lungo periodo e ci basta guardare al breve, a seconda se l'azienda genera cassa dal reddito della gestione o dagli assets ed in funzione della rischiosità del business dell’azienda e dell'esposizione sia al business risk che al financial risk.

Cap 2 Il conto economico: voci e struttura

Le voci del conto economico

Il conto economico illustra tutti i ricavi ed i costi di un’azienda nell’arco di un determinato periodo. In sintesi è così strutturato:

1 Ricavi del periodo 150

2 - Costi del periodo -110

3 = Utile Operativo 40

4 - Costi finanziari -6

5 +/- Proventi ed oneri straordinari -4

6 - Imposte e tasse -12

7 = Utile o perdita 18

Il conto economico descrive i flussi dei costi e dei proventi che si sono manifestati in un determinato periodo di tempo:

In una prima sezione (riga 1 e 2 ) vengono inseriti i ricavi ed i costi inerenti la gestione caratteristica dell’azienda, cioè quei ricavi e quei costi che sono tipici dell’attività che viene svolta dall’azienda e che verosimilmente sono ricorrenti tutti gli anni e sono simili tra aziende che svolgono la stessa attività. L’utile operativo (riga 3) è la differenza trai ricavi ed i costi di un intero anno e quindi misura quanto l’azienda guadagna nell’anno con la sua attività caratteristica.

Gli altri costi (eventualmente anche altri proventi) sono stati invece suddivisi in voci diverse (4,5 e 6) proprio perché rappresentano eventi da analizzate separatamente rispetto all’attività caratteristica: i costi finanziari sono gli interessi ed i costi dei finanziamenti e dipendono dall’entità dei debiti e dai tassi di interesse; proventi ed oneri straordinari sono tutti quegli eventi che hanno prodotto proventi o costi in quest’anno ma che consideriamo non ricorrenti nell’attività di questa azienda; le imposte e tasse dipendono dalle politiche fiscali del paese nel quale opera l’azienda.

I bilanci pubblicati dalle società in Italia seguono l’impostazione del nostro schema semplificato, naturalmente con maggiori dettagli. Lo schema dei bilanci è standard, quindi riporta delle voci generali come “acquisti” o “servizi” senza spiegare che cosa l’azienda ha acquistato. Possiamo trovare maggiori dettagli e spiegazioni negli allegati al bilancio.


Schemi di riclassificazione in funzione dell’attività aziendale

Se in generale tutti gli schemi di riclassificazione seguono l’impostazione che abbiamo visto, l’applicazione a attività economiche particolari richiede schemi più specifici.

Per un’azienda manifatturiera è utile identificare i costi della produzione rispetto a quelli commerciali ed a quelli generali; per un supermercato è invece più utile calcolare il margine di reddito commerciale che ottiene rivendendo al pubblico i prodotti che ha acquistato dai produttori e poi sottrarre tutti i costi della struttura, come l’affitto dei locali ed il costo del personale.

La stessa logica ci porta a schemi molto diversi quando vogliamo studiare aziende del settore finanziario, come banche ed assicurazioni o aziende con attività particolari, come le imprese che progettano e realizzano grandi opere civili o tecnologiche, società di sevizi o società di ricerca.

Noi focalizziamo l’analisi su aziende manifatturiere e commerciali, tipiche della realtà industriale Italiana.


Presentazione di un primo schema semplificato

Il conto economico nei bilanci delle società italiane è redatto secondo uno schema standard così composto:

Conto Economico

A Valore della produzione, composto da:

Ricavi dalle vendite di prodotti e servizi

Aumento delle rimanenze di prodotti

Capitalizzazione di spese effettuate per lavori interni

Altri proventi

B. Costi della produzione, composto da:

Acquisti

Servizi

Godimento beni di terzi

Costi del personale

Ammortamenti

Accantonamenti

Oneri diversi

C. Proventi ed oneri finanziari

Proventi da partecipazione

Proventi finanziari

Interessi ed oneri finanziari

D. Rettifiche di attività finanziarie

Rivalutazione e svalutazione partecipazioni

E. Proventi ed oneri straordinari

Imposte sul reddito

= Utile o perdita dell’esercizio

La principale differenza con i modelli di riclassificazione più comunemente adottati è nel separare gli ammortamenti e gli accantonamenti in una (o due) voci separate da inserire dopo i costi della produzione, proprio perché questi costi hanno natura e metodo di rilevazione molto diverso dagli altri costi.

Lo vedremo in dettaglio più avanti.


Indici di Conto Economico

Sulla base del conto economico che abbiamo visto in precedenza possiamo trarre qualche considerazione. Rivediamolo.

1 Ricavi del periodo 150 100.0%

2 - Costi del periodo -110 -73.3%

3 = Utile Operativo 40 26.7%

4 - Costi finanziari -6 -4.0%

5 +/- Proventi ed oneri straordinari -4 -2.7%

6 - Imposte e tasse -12 -8.0%

7 = Utile o perdita 18 12.0%

L’azienda ha ricavi per 150 Euro (o migliaia di Euro o ... Milioni di Euro) e, dopo aver pagato tutti i suoi costi per merci, affitto e personale ne trae un utile operativo del 26.7%. E’ un buon risultato per una società di servizi, ottimo se invece si tratta di un’azienda produttiva che ha normalmente margini assai più bassi.

Una buona parte di questo utile operativo viene però “perso per strada”: in costi finanziari un po’ alti, in qualche costo straordinario e naturalmente, in tasse. Il risultato per l’azienda è di 18 Euro netti, che rappresenta il 12.0% del suo volume d’affari.

Il 12.0% rispetto al fatturato è però un indice che da solo non vuol dire nulla: è un risultato più o meno valido a seconda di quanto normalmente altri operatori ottengono nello stesso settore. Dal confronto con un’altra azienda simile possiamo quindi capire quanto è valido il risultato del 12% rispetto al fatturato.

Anche i 18 Euro in sé non significano molto: dipende da quanto l’imprenditore ha investito nella sua attività per ottenere questo risultato ed a quanto avrebbe potuto ottenere investendo la stessa somma in qualche altra attività. Così se l’imprenditore nella società ha investito in tutto 200 Euro, dai quali tramite un investimento finanziario senza rischi imprenditoriali avrebbe ottenuto interessi annuali al massimo di 6 Euro, allora ottenere 18 Euro in un solo anno sarebbe un ottimo rendimento!