Negli ultimi tre anni vi è stato un utilizzo intensivo di operazioni di ristrutturazione del debito, concordato preventivo, di art. 67 e art. 182 bis LF: possiamo trarre le prime conclusioni, che non sempre sono positive. Molte, troppe aziende hanno utilizzato le nuove normative della LF per comprare tempo senza però risolvere i propri problemi industriali e limitandosi ad una spending review aziendale che non ha risolto i problemi. Cosa non ha funzionato e cosa si può (ancora) fare.
Imparare dai successi e dagli insuccessi
Per attuare tutto questo occorre però attuare cambiamenti nell'azienda, cosa che gli imprenditori della PMI di succcesso fanno abitualmente, altri meno ma possono, devono, provarci.
Ad oggi (alla fine del 2013), le nuove normative della LF sono state utilizzate da un rilevante numero di aziende e possiamo iniziare a rilevare in quali casi la ristrutturazione del debito, oltre a causare licenziamenti di personale ed ingenti perdite a fornitori e banche, ha almeno permesso di salvare la continuità aziendale. Per quanto possano valere conclusioni a volte affrettate, mi sembra che i casi di turnaround aziendale di successo vertano su due fattori comuni: focalizzazione del business su pochi prodotti di successo ed una quota di fatturato all'export superiore al 60% del fatturato totale. Considerando che la domanda interna in Italia è attesa debole anche nel 2014, la soluzione rimane la stessa. Il problema è capire perchè molte PMI non siano riuscite a rilanciare l'attività nonostante abbiano fruito di una rilevante moratoria finanziaria.
Il problema non è (quasi) mai finanziario
Come non ci stanchiamo di dire e scrivere, il problema delle PMI italiane non è la scarsità del credito bancario e la crisi finanziaria. Ovviamente un'ampia disponibilità di credito e la fine della crisi internazionale gioverebbe ma il problema più profondo è un'altro: è la mancanza di competitività a livello internazionale. Le PMI che competono e si affermano a livello internazionale trovano infatti credito anche nell'attuale fase di difficoltà. Oggi nel mondo finanziario vi sono immensi capitali in affannosa ricerca di buoni investimenti. Il rilancio della competitività richiede investimenti aziendali mirati e risparmi nelle aree non strategiche. Credo che qualcosa si possa ancora fare, intervenendo con una nuova “spending review” su tre aree aziendali, quelle sulle quali ci siamo ritrovati a dedicare buona parte della nostra attività presso le PMI.
La spending review ed i tagli lineari
La prima area riguarda la politica generale della “spending review” ed i tagli lineari. Tutti siamo concordi nel criticare i tagli lineari nella pubblica amministrazione, vorremmo tagli selettivi agli sprechi ed ai costi che non generano utilità alla popolazione e vorremmo maggior spesa pubblica nell'erogazione di servizi di maggior qualità ai cittadini. La spending review deve essere selettiva, non abbiamo dubbi. Eppure anche nelle aziende private, quelle gestite da piccoli imprenditori che sicuramente non sprecano i propri soldi, i tagli non sono stati affatto selettivi: l'imprenditore ha tagliato i costi dove era più facile farlo e non dove serviva. Ha tagliato la pubblicità, la ricerca e l'innovazione, le collaborazioni esterne, quella parte del personale che le norme hanno reso licenziabile. Non c'è stato un ripensamento dell'organizzazione, c'è stato solo l'alleggerimento di chi butta a mare ciò che trova intorno a sè, persone comprese, nella speranza di non affondare. Cosa proponiamo invece? Proponiamo di pensare a quale debba essere la struttura organizzativa più funzionale ai due obiettivi di base, cioè avere pochi prodotti ad alta competitività internazionale e vendere molto di più all'estero su mercati nuovi. Interveniamo allora con una spending review completamente diversa da quella dei tagli, che cerca le professionalità all'interno dell'azienda e le valorizza impiegandole su questi obiettivi. Investe quindi sul know-how ed esternalizza invece tutto il resto, creando una struttura snella e flessibile che permetta di crescere senza investimenti organizzativi aggiuntivi.
Il capitale circolante
La seconda area riguarda il capitale
circolante. Il problema finanziario che le PMI hanno temporaneamente
risolto avvalendosi delle normative introdotte con l'art 67 o il 182
bis della LF non si ripropone nuovamente solo introducendo una
diversa gestione del capitale circolante: contabilità per commessa,
assicurazione dei crediti, gestione degli ordinativi considerando la
solvibilità de clienti ed i flussi di cassa più che i margini sul
venduto, in pratica introducendo nuove procedure in un'area della
gestione aziendale di cui l'imprenditore raramente si preoccupa. La
quantità di risorse finanziarie che l'azienda stessa può creare
attraverso una diversa gestione del capitale circolante è molto più
rilevante rispetto all'ammontare delle risorse finanziarie aggiuntive
che possono provenire da nuove linee bancarie.
L'utilizzo della tecnologia
La terza area riguarda l'utilizzo
della tecnologia. Il mondo attuale offre un'immensa tecnologia di
prodotto e di processo, facilmente disponibile, che la PMI italiana
spesso ignora totalmente. Con la tecnologia oggi è possibile
monitorare puntualmente ciò che viene fatto in azienda, dai
fornitori, dai clienti, in modo da apportare costanti miglioramenti
ed accorgimenti. Sapere in remoto quando un prodotto sta per rompersi
permette di intervenire presso il cliente prima che questo lo debba
riparare o sostituire magari chiamando un concorrente. Programmare la
logistica coi satellitari permette di risparmiare tempo e kilometri.
Il problema è che le informazioni ed il modo di trattarle in modo
proficuo tramite le nuove tecnologie ci sono, pochi sanno però
usarle: il knowledge management è indispensabile alla PMI che voglia
utilizzare le proprie risorse in modo produttivo.
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