L'approvazione del decreto 179 del
18 ottobre 2012 convertito nella L 221 del 17 dicembre 2012
(Decreto Sviluppo) ha perfezionato
alcuni aspetti del precedente Decreto 83 del 22 giugno 2012 di fatto
aprendo un nuovo mercato finanziario, quello dei corporate bonds per
le aziende non quotate. Vediamo di cosa si tratta.
Il problema è sempre stato la
fiscalità
Se le aziende italiane dipendono
disperatamente dal sistema bancario per l'approvvigionamento di
finanza è (anche) dovuto ad un sistema fiscale che favorisce
smaccatamente il credito bancario rispetto alla raccolta di fondi
tramite bonds: gli interessi alle banche sono deducibili e non hanno
ritenute d'acconto, quelli sui bonds hanno limiti dimensionali
all'emissione, limiti alla deducibilità ed una ritenuta del 20%,
partita persa per i bonds e, adesso che le banche sono in crisi,
partita persa per tutti.
Le novità
Col decreto sviluppo si prova a mettere
una pezza. Se a sottoscrivere i bonds è un investitore qualificato
ed i bonds sono quotati su un mercato regolamentato, anche fuori
dall'Italia, allora non si applicano limiti i dimensionali nè di
deducibilità della thin-cap e non si applica la ritenuta (con poche
eccezioni peraltro condivisibili). In pratica una società di
capitali, anche una srl, può raccogliere finanza da investitori
emettendo bonds senza penalizzazioni fiscali, anche senza essere
quotata in borsa.
Chi sono gli investitori e cosa
chiedono
Adesso la cosa passa al mercato: di
aziende che hanno bisogno di finanza e pronte ad emettere bonds in
Italia ne abbiamo molte, ma chi sono gli investitori istituzionali
disposti ad acquistarli? Gli investitori sono tipicamente soggetti
che per loro natura raccolgono più fondi di quanti ne debbano
spendere immediatamente: i fondi pensione (non l'INPS, ma questa è
un'altra storia) le compagnie di assicurazione, e qualche soggetto
fortunato (petrolio, family office). Questi investitori sono disposti
a sottoscrivere i corporate bonds italiani? Certo che sì, specie
adesso che il rischio Italia è percepito meno rilevante, purchè a
determinate condizioni: le dimensioni dell'investimento devono essere
tali da giustificare il tempo ed il costo necessario per analizzare
la bontà dell'azienda italiana, deve essere garantita una
sufficiente liquidabilità dei bonds, cioè la possibilità di
eventualmente rivenderli sul mercato come qualsiasi altro titolo che
acquistano abitualmente in borsa.
Quali aziende possono emettere
corporate bonds
Di conseguenza l'ammontare
dell'emissione deve essere elevata, diciamo di almeno 150-200 milioni
di Euro, così ogni investitore ne può acquistare per diversi
milioni di Euro e il mercato secondario sul quale i bonds vengono
quotati rimane attivo. Un'emissione di bonds di questo ammontare
richiede aziende di dimensioni coerenti: il fatturato non conta,
l'EBITDA cioè il margine operativo lordo dell'azienda deve essere di
almeno 40-50 milioni (in modo da avere un rapporto bond/ebitda di 3/4
volte), altrimenti l'emissione non regge.
Conclusioni
In conclusione, ottimo il decreto ma il
numero di aziende non quotate che avranno accesso al mercato dei
corporate bonds è assai limitato rispetto alle necessità del
sistema Italia. Per rendere l'emissione di corporate bonds fruibile
ad aziende di medie dimensioni occorre creare strumenti che coprano
il divario dimensionale tra emittenti italiani troppo piccoli ed
investitori istituzionali internazionali troppo grandi. Non facile.
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