La
minore propensione al consumo conseguente la recessione ed la
crescita delle vendite on-line hanno messo in dubbio molti aspetti
del modello distributivo basato sulla catena di punti vendita
monomarchio, cresciuto sensibilmente nell'ultimo decennio in tutto il
settore della grande distribuzione non-food. Oggi la proliferazione
dei punti vendita non comporta automaticamente un aumento del
rendimento del capitale investito e dell'avviamento commerciale. Non
è solo una questione contabile di analisi della redditività di
ciascun punto vendita: il problema ora è capire se e come la
creazione di valore attraverso una catena di punti vendita crea
“Goodwill” e come misurarlo.
La
misurazione tradizionale della performance di una catena di punti
vendita
La
performance economica di una catena di punti vendita si misura in
base a metriche di volume (ad esempio volumi di vendita per mq di GLA
/ rotazione prodotti di ciascuna area), in base a parametri contabili
(ad esempio fatturato / margine di redditività EBITDAR pre rent /
utile operativo) e tramite il benchmarking rispetto a parametri di
mercato (ad esempio presenze sul punto vendita vs numero famiglie
abitanti nell'area di riferimento). L'obiettivo è capire se ogni
punto vendita performa in misura adeguata alle potenzialità della
propria location, ricordando che secondo la logica economica non
conta quanto “ci fai”
ma quanto “potresti
farci”.
Se
per Goodwill di una catena di punti vendita intendiamo l'avviamento
commerciale allora è solo una questione contabile. Poco importa con
quanti punti vendita si operi. Anzi secondo una logica di pura
performance economica, meno sono i punti vendita, tanto più semplice
la gestione: meglio avere relativamente pochi punti vendita, di
grande superficie, ubicati nei bacini di utenza di rilevanza per i
prodotti distribuiti. Tutto bene anzi no, perché il mondo è
cambiato.
Crisi,
internet e la creazione di Goodwill oggi
Con la crisi economica
tende a diminuire la loyalty del consumatore verso i brand di massa e
verso il punto vendita abituale. Più si diffonde l'e-commerce più
diventa inutile la distribuzione fisica dei prodotti non-food
durables e diminuisce l'avviamento commerciale dei punti vendita.
Inoltre l'elevato costo della distribuzione viene assorbito solamente
da prodotti ad elevato valore aggiunto.
Ciò che allora chiedono
i produttori alla rete di distribuzione non è “solamente” volume
– ricavo - servizio, ma anche e soprattutto di essere una rete che
presidi la market share sul territorio e fidelizzi i clienti.
Elemento discriminante è quindi la capacità della rete di creare (e
mantenere) un rapporto privilegiato con la propria clientela. Il
Goodwill di una catena di punti vendita, ovvero ciò che la rende
attraente non solo per l'azienda ma anche per i clienti, per i
produttori e persino per un competitor è quindi qualcosa di più
complesso rispetto alla sola performance economica. Ma come si
misura?
Definire
le metriche del Goodwill
La
metrica che cerchiamo deve riuscire a confrontare e misurare quanto
ciascun punto vendita “vale
per me” rispetto al
suo costo. In termini tecnici dobbiamo misurare il value in use di
ciascun punto vendita con metriche funzionali al Goodwill aziendale
anzichè limitate all'avviamento commerciale.
Un'analisi
su un elevato numero di punti vendita richiede inoltre criteri
omogenei e trasparenti così da ottenere uno strumento che sia unico
per tutta la catena; strumento che deve essere anche dinamico, possa
cioè essere applicato nel tempo sia agli stessi punti vendita che a
quelli di nuova apertura. L'omogeneità non deve però penalizzare
l'aspetto che più ci interessa, ovvero la valorizzazione delle
specificità di ciascuna location, cioè la variabile che crea valore
al di là di quanto venga rappresentato dai soli dati contabili.
Dobbiamo quindi utilizzare un sistema di metriche unico per tutti i
punti vendita che in aggiunta ai dati reddituali e finanziari
incorpori gli elementi di caratterizzazione di ciascuna location in
una logica di creazione di valore di rete.
E'
allora importante l'affidabilità dei dati di mercato che
utilizzeremo. Il problema non è l'accuratezza dei dati (oggi ci sono
istituti di ricerca di assoluta affidabilità) ma la loro rilevanza
rispetto al nostro obiettivo che non coincide con quello di chi fa
analisi di mercato per tipologia di prodotto e consumo: il dato che
ci serve probabilmente non esiste, dobbiamo utilizzare un set dati
assimilabili, che incrociamo così da ottenere un proxy del dato che
vorremmo.
Per
quel che vale, un esempio
La standardizzazione di
metriche di misurazione del Goodwill nella grande distribuzione
non-food come sopra definito è evidentemente un “non senso”.
Possiamo però definire alcuni elementi costanti all'interno del
processo: una precisa analisi della distribuzione del target market
sul territorio, uno scoring dell'attrattività della location, la
definizione della potenzialità effettiva di ciascun punto vendita e
del gap attuale, l'investimento sia in Capex che in capitale umano
necessario per colmarlo, il costo della location non solamente su
basi economiche ma di valore prospettico di mercato, un sistema di
metriche da cui creare un “algoritmo” che produca risultati di
immediata comprensione e facili da utilizzare.
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