sabato 23 febbraio 2013

I corporate bond decreto sviluppo 83/12

L'approvazione del decreto 179 del 18 ottobre 2012 convertito nella L 221 del 17 dicembre 2012
(Decreto Sviluppo) ha perfezionato alcuni aspetti del precedente Decreto 83 del 22 giugno 2012 di fatto aprendo un nuovo mercato finanziario, quello dei corporate bonds per le aziende non quotate. Vediamo di cosa si tratta.

Il problema è sempre stato la fiscalità
Se le aziende italiane dipendono disperatamente dal sistema bancario per l'approvvigionamento di finanza è (anche) dovuto ad un sistema fiscale che favorisce smaccatamente il credito bancario rispetto alla raccolta di fondi tramite bonds: gli interessi alle banche sono deducibili e non hanno ritenute d'acconto, quelli sui bonds hanno limiti dimensionali all'emissione, limiti alla deducibilità ed una ritenuta del 20%, partita persa per i bonds e, adesso che le banche sono in crisi, partita persa per tutti.

Le novità
Col decreto sviluppo si prova a mettere una pezza. Se a sottoscrivere i bonds è un investitore qualificato ed i bonds sono quotati su un mercato regolamentato, anche fuori dall'Italia, allora non si applicano limiti i dimensionali nè di deducibilità della thin-cap e non si applica la ritenuta (con poche eccezioni peraltro condivisibili). In pratica una società di capitali, anche una srl, può raccogliere finanza da investitori emettendo bonds senza penalizzazioni fiscali, anche senza essere quotata in borsa.

Chi sono gli investitori e cosa chiedono
Adesso la cosa passa al mercato: di aziende che hanno bisogno di finanza e pronte ad emettere bonds in Italia ne abbiamo molte, ma chi sono gli investitori istituzionali disposti ad acquistarli? Gli investitori sono tipicamente soggetti che per loro natura raccolgono più fondi di quanti ne debbano spendere immediatamente: i fondi pensione (non l'INPS, ma questa è un'altra storia) le compagnie di assicurazione, e qualche soggetto fortunato (petrolio, family office). Questi investitori sono disposti a sottoscrivere i corporate bonds italiani? Certo che sì, specie adesso che il rischio Italia è percepito meno rilevante, purchè a determinate condizioni: le dimensioni dell'investimento devono essere tali da giustificare il tempo ed il costo necessario per analizzare la bontà dell'azienda italiana, deve essere garantita una sufficiente liquidabilità dei bonds, cioè la possibilità di eventualmente rivenderli sul mercato come qualsiasi altro titolo che acquistano abitualmente in borsa.

Quali aziende possono emettere corporate bonds
Di conseguenza l'ammontare dell'emissione deve essere elevata, diciamo di almeno 150-200 milioni di Euro, così ogni investitore ne può acquistare per diversi milioni di Euro e il mercato secondario sul quale i bonds vengono quotati rimane attivo. Un'emissione di bonds di questo ammontare richiede aziende di dimensioni coerenti: il fatturato non conta, l'EBITDA cioè il margine operativo lordo dell'azienda deve essere di almeno 40-50 milioni (in modo da avere un rapporto bond/ebitda di 3/4 volte), altrimenti l'emissione non regge.

Conclusioni
In conclusione, ottimo il decreto ma il numero di aziende non quotate che avranno accesso al mercato dei corporate bonds è assai limitato rispetto alle necessità del sistema Italia. Per rendere l'emissione di corporate bonds fruibile ad aziende di medie dimensioni occorre creare strumenti che coprano il divario dimensionale tra emittenti italiani troppo piccoli ed investitori istituzionali internazionali troppo grandi. Non facile.