mercoledì 22 settembre 2010

Creare capitale intellettuale per competere

Il Capitale Intellettuale della PMI

Quando affrontiamo un turnaround il problema più urgente é fare cassa, il problema più importante é trovare l'elemento di differenziazione competitiva dell'impresa. Il principale elemento di differenziazione competitiva di una PMI italiana nei confronti dei suoi competitors internazionali é il suo capitale intellettuale: il capitale intellettuale (IC, Intellectual Capital) non é infatti altro che l'intuito dell'imprenditore e la capacità della PMI di creare qualcosa in più rispetto ai concorrenti pur disponendo di un capitale economico e finanziario pari o addirittura inferiore. La capacità di competere oggi non é tanto nel disporre di macchinari di produzione d'avanguardia (li hanno anche in Turchia e in Cina), di strutture produttive ben organizzate (di ingegneri di processo ce ne sono proporzionalmente molti di più in India che in Italia) e nell'impegnarsi a creare nuovi prodotti (comunque copiati dopo 15 giorni), ma nel fare tutto questo con una migliore qualità, qualità che deriva da migliori capacità intellettuali.

Il capitale intellettuale della PMI diventa di conseguenza il fattore chiave del turnaround, quello che crea valore aggiunto, cioé la possibilità di far pagare al cliente il proprio prodotto un pò di più rispetto al prodotto low-cost dei competitor.

Nell'articolo dedicato a "Tutelare il valore degli asset intangibili nell'azienda in crisi" abbiamo visto quali sono gli elementi più rilevanti per la PMI italiana nelle tre dimensioni del capitale umano, del capitale strutturale e del capitale relazionale. Vediamo adesso alcuni aspetti di criticità e di differenziazione per il piccolo imprenditore, ovvero alcuni di quegli aspetti che fanno il successo o il declino di una PMI e che diventano essenziali nelle situazioni di turnaround.


La capacità di identificare le risorse intangibili che contano

Per una PMI é difficile creare valore aggiunto col proprio capitale intellettuale in modo generico: gli esperti stimano che gli elementi di capitale intellettuale (detti anche i "fenomeni") che possono creare valore siano un centinaio (c'é chi ne elenca di più, chi meno, comunque sempre troppi). Per un piccolo imprenditore occorre ogni volta capire quali sono veramente le variabili che contano e focalizzarsi solo su queste. Un esempio simpatico ce lo fornisce un famoso (e sempre citato) studioso della materia (T.A. Steward): "..un ristorante a tre stelle ha successo soprattutto grazie al capitale umano racchiuso nel suo chef; una catena di fast food si affida ala capitale strutturale delle sue ricette e e dei suoi procedimenti; un ristorantino locale ha successo grazie al capitale relazionale della cameriera che vi chiama per nome e sa come vi piace il caffè..". Ogni PMI deve capire quali sono gli elementi chiave su cui dovrà fare leva d'ora in poi per differenziarsi dai concorrenti e potere avere successo.


L'importanza di saper misurare le proprie risorse intangibili

Una volta identificate le proprie 10 variabili chiave, occorre trovare un modo per misurarle, in modo da capire se, anno dopo anno, le stiamo coltivando adeguatamente e se danno i risultati che ci attendiamo. I metodi di misurazione devono essere semplici ed efficaci e devono poter essere documentabili in modo obiettivo: ad esempio se riteniamo la capacità di introdurre piccoli e costanti miglioramenti ai nostri prodotti e servizi sia un elemento che crea valore aggiunto, possiamo allora contare quanti miglioramente abbiamo introdotto ogni mese e quanti di questi sono stati suggeriti da chi produce, da chi vende e da chi studia il prodotto. La misurazione é fondamentale: se un reparto non suggerisce alcunchè abbiamo un segnale forte sul quale dobbiamo intervenire per capire il perchè e per trovare correttivi. Parafrasando una consolidata affermazione diciamo che possiamo gestire solo quello che sappiamo misurare.


Curare il Branding

Nella guerra dei prezzi, chi fa lo sconto più alto vende ma ne paga il prezzo. Tutti sappiamo che riesce a far pagare un prezzo più alto il prodotto di marca: i marchi permettono infatti un premium price, cioé di vendere un prodotto ad un prezzo superiore, a premio, rispetto ad un analogo prodotto unbranded. Per una PMI investire per affermare il proprio marchio può sembrare uno spreco di risorse, ma il marchio é capitale intellettuale che trasmette valore. Lo sanno bene i produttori dei paesi low-cost, disperatamente alla ricerca di modi per nascondere il proprio non-marchio (avete fatto caso che il brand dei produttori cinesi non appare mai?).


La capacità di attrarre talenti ed il rischio di perderli

Per migliorare il capitale intellettuale occorre disporre di persone di qualità, che lavorano assieme con entusiasmo, perché é evidente che le buone idee non possono provenire solo dall'imprenditore. La PMI italiana di stampo familiare ha spesso dei limiti nel saper attrarre (e nel voler attrarre) personale di qualità, specialmente giovani e donne. Molti imprenditori (ma anche molte imprenditrici!) si trovano a disagio nel dialogare con un dipendente che si mostra più sveglio di loro, specialmente se é appunto un giovane o una donna. Ma non c'é alternativa: la PMI non ha le risorse per arruolare grandi manager e grandi tecnici con grandi stipendi, i talenti deve farseli in casa e per creare conoscenza serve gente tosta ed entusiasta, bisogna saperla attrarre e saperla tenere.


L'innovazione continua

Le aziende competono solo se innovano. Ma come si fa ad innovare? Credo che non dipenda dall'avere tecnici o esperti di marketing che pensano a cose nuove in un ufficio ad hoc, ma dipende dalla voglia di mettere in discussione tutto ciò che si fa in base a ciò che viene apprezzato (e remunerato) dai clienti. Un noto manager di una nota casa automobilistica, di fronte ad un nuovo modello palesemente innovativo disse: non mi piace. Difficile potergli dire: guardi che non é lei che deve comprarla! Insomma l'ostacolo all'innovazione a volte é dentro di noi, rimuoviamolo!

Il Business Plan da presentare alle banche

Negli ultimi mesi ho avuto occasione di presentare dei business plan (dai semplici business plan di sviluppo a veri e propri piani di risanamento ex art 67 LF) a delle banche. Eccovi allora qualche considerazione “fuori onda”.


La banca legge il Business Plan?

La maggior parte funzionari di banca non lo legge, lo sfoglia e poi ti chiede di fare il riassunto. Non legge con attenzione neppure l'Executive Summary e poco sembra importargli di che fine fanno i soldi della banca. Allora é inutile perderci troppo tempo, basta fare un buon “copia e incolla” da altri plan? Purtroppo no, ogni volta capita di trovare un funzionario zelante (massimo due) che non solo lo legge, ma é anche in grado di capirlo e discuterlo con competenza. Insomma capita sempre di trovare un interlocutore capace. Il che ci obbliga a redarre un Business Plan industriale vero ed un Piano di Risanamento credibile.


La gabbia del rating interno

Tutti i funzionari, dal gestore locale al direttore di area al responsabile corporate, sono “ingabbiati” dal rating interno. Intendiamoci: oggi le banche sanno leggere ed interpretare l'andamento aziendale come era impensabile solo pochi anni fa. I sistemi di rating che utilizzano sono ormai collaudati e perfezionati, insomma sono più che decenti. Se col business plan pensate quindi di fare cambiare idea ad una banca riguardo lo stato più o meno disastrato in cui versa l'azienda del vostro cliente o sperate di far capire le potenzialità dell'azienda a medio termine, ricordatevi che comunque il rating non si discute.


Conoscere la normativa

La banca é fatta da burocrati: se non lo sono, lo diventano. In effetti i vincoli normativi che devono rispettare sono notevoli. Oggi una azienda é tecnicamente in default se ha 180 giorni di ritardo nell'onorare le proprie scadenze verso la banca. Se operiamo entro questo limite possiamo proporre e percorrere determinate alternative, se siamo oltre ne possiamo percorrere solamente altre. A volte più che un esperto serve un interprete, ma per la PMI conoscere la gabbia normativa dentro la quale si opera e conoscerne gli strumenti (come l'Avviso comune 3 agosto 2009, la ricontrattazione e la rinegoziazione) diventa indispensabile per gestire un qualsivoglia dialogo con le banche.


Quando le banche ci stanno a sentire?

Quando il giudizio del rating é pessimo (cioé quasi sempre, visto che di questo ci occupiamo) la disponibilità al dialogo da parte della banca è quantomeno ... limitata: il dialogo e l'attenzione al piano di risanamento si avvia solo quando l'azienda non paga nè capitale nè interessi e non movimenta un solo euro sul conto corrente. Se volete farvi ascoltare portate i flussi finanziari altrove e fate esplodere il problema. Dopo tutto é sempre valida la vecchia regola che dice che se hai un debito modesto il problema é tuo e se lo hai grande il problema é della banca.


Cosa cercano le banche nel Business Plan?

Quello che le banche cercano é qualche informazione nuova che giustifichi il manterere in vita l'azienda ed accettare il Piano di risanamento anzichè mettere una riga sul credito e farla finita, che poi sarebbe la cosa più saggia. Il piano di risanamento è vero solo se identifica nuovi clienti da nuovi mercati, nuovi prodotti low-cost, una organizzazione diversa, la cessione di asset, qualche evidente fattore di discontinuità con il passato e col presente, anche nelle persone, come un nuovo direttore generale. Deve essere qualcosa di molto specifico che le banche possano identificare, misurare e monitorare nei prossimi mesi. Il Piano di risanamento si basa cioé sul cambiamento di qualche variabile chiave.


Le banche si aspettano il peggio, accontentiamole

Le banche sanno che il ciclo delle sofferenze non coincide col ciclo della crisi economica, ma é in ritardo di almeno sei mesi. L'azienda in crisi riesce a non palesare la sua situazione all'esterno per un certo periodo (ad esempio non paga i fornitori e mantiene una situazione finanziaria apparentemente equilibrata). Poi però non ce la fa più e la posizione finanziaria sul conto corrente della banca sprofonda. Per questo le banche si aspettano maggiori sofferenze nel 2010, anno di tenue ripresa economica, rispetto al 2009, anno invece di conclamata crisi sistemica. E' verosimile che il piano di risanamento veda un conto economico aziendale in miglioramento con però flussi di cassa in tensione ancora per un certo tempo.


Le banche vogliono che i crediti siano performing, il come non interessa

Per poter mantenere i crediti verso i clienti in difficoltà nel proprio bilancio senza operare costosissime svalutazioni, le banche hanno bisogno che questi crediti generino un minimo di redditività, siano performing. Per quanto la cosa non cessi di stupirci, il “come” questo possa avvenire alle banche non interessa. Hanno chiesto di prevedere nel piano di risanamento di remunerare i debiti bancari con un ammontare doppio rispetto a quanto l'azienda potrà ragionevolvente disporre: cosa tecnicamente impossibile per chi non sia lo stato italiano, che paga gli interessi facendo nuovi debiti. Insomma possono chiedere di prevedere ed ufficializzare un piano che nessuno si sogna di poter realizzare. Conclusione: va bene così. Dopo tutto il conto lo pagano le banche, che scelgano pure il menù.

Vi serve un aiuto per preparare un Business Plan di successo? Scriveteci alla mail: info@eqst.it!


martedì 21 settembre 2010

Il canone di affitto dell'azienda alberghiera

La separazione ormai abituale tra proprietà immobiliare e gestione di un albergo rende sempre più attuali le problematiche inerenti la locazione, prima di tutto sui metodi di valutazione del canone. Vediamo qualche considerazione adesso che i tassi di interesse a lungo termine tornano a crescere.

Cos'é il canone di locazione di un albergo?
L'albergo non é un appartamento, il canone é una questione molto delicata. Per il proprietario il canone é il rendimento atteso sul capitale immobilizzato, per il conduttore é un costo da contenere entro un massimo del 20% dei ricavi della gestione. Vi sono oggi diversi schemi contrattuali che parametrano il canone alla redditività della gestione. Partiamo però analizzando lo schema più semplice della locazione.
Le attuali aspettative di rendimento del proprietario dell'immobile
Per determinare il canone di locazione desiderato, il proprietario dell'immobile deve stimare il valore di mercato della struttura come il controvalore ottenibile in una cessione e reinvestibile in altra attività finanziaria. Calcola quindi il rendimento atteso sul valore di mercato del suo immobile ed ottiene il canone desiderato. Atteso che il rendimento oggi ottenibile sui BTP a lungo termine é nell'ordine del 4,5% annuo , é lecita l'aspettativa di ottenere un canone di locazione che sia perlomeno pari a tale rendimento base più un premio per il maggior rischio dell'investimento immobiliare rispetto all'investimento in titoli si stato, per la minore liquidabilità dell'immobile e per il rischio della controparte specifica. Vediamoli in dettaglio.
Il premio per il rischio Immobiliare
Il rendimento per il rischio immobiliare varia in funzione della qualità dell'ubicazione dell'immobile: é ovviamente molto basso per immobili siti nel centro di Milano e di Roma, come per immobili in una buona posizione a Venezia, é maggiore per immobili siti in provincia, é obiettivamente alto per immobili ubicati là dove nessuno andrebbe ad abitare, come vicino agli aeroporti ed alle autostrade, ancorchè posti ottimi per svolgere l'attività alberghiera. Il range va da 0,5% a 2,5% di extra rendimento annuo rispetto ai titoli di stato.
Il premio di liquidità
C'é poi un premio per l'illiquidità dovuto al fatto che, una volta locato con un contratto a 18 anni, la cessione dell'immobile diventa ovviamente più difficile, in quanto l'acquisto dell'immoble locato a terzi può interessare solo ad un investitore prettamente finanziario con una visione e una disponibilità a lungo termine ma diventa un albergo invendibile ad un albergatore, visto che non può utilizzarlo. Il premio di illiquidità non é quindi affatto da trascurare: é evidente che a parità di rapporto rischio / rendimento una asset class facilmente liquidabile é da preferirsi, specialmente in tempi di turbolenza finanziaria: diciamo che oggi il mercato applica liquidity premium anche di 1,5%-2,0%.
Rispetto al periodo pre-crisi abbiamo due fenomeni contrastanti: il premio per il rischio immobiliare non é cresciuto, in quanto l'investimento immobiliare é comunque considerato difensivo, mentre la ricerca della liquidità da parte degli investitori ha fatto crescere in modo significativo il liquidity premium.
Il premio per il rischio controparte
Da ultimo, ma ovviamente non meno rilevante, é il premio per il rischio controparte. Affittare ad un operatore serio, esperto ed affidabile, legato marchi ed a catene di prenotazione internazionali può fornire garanzie importanti per il proprietario. Se mancano questi requisiti allora il proprietario chiederà un canone di locazione maggiore che tiene conto di un rischio di morosità del conduttore. E' evidente che l'attuale crisi valorizza la credibilità ed affidabilità dei conduttori più professionali e tende ad ampliare il premio richiesto dal proprietario per il rischio controparte.
Come trattare l'inflazione?
Nell'attuale scenario deflattivo parlare di inflazione può sembrare fuori luogo. Non é così: se dobbiamo concludere un contratto di locazione a 18 anni é evidente che in questo notevole lasso di tempo avremo presumibilmente anni ad inflazione bassa ed anni ad inflazione più elevata. Il canone si rivaluta, ma anche il valore immobiliare potrebbe crescere. La considerazione più diffusa sul mercato é che i valori immobiliari crescano più dell'inflazione. Se fosse così il proprietario potrebbe locare ad un rendimento biù basso contando di recuperare il mancato rendimento con la rivalutazione dell'immobile nel tempo. Sappiamo che questo é accaduto nei periodi ad alta inflazione ed in concomitanza dell'introduzione dell'euro ma oggi vi sono due considerazioni da fare: l'apprezzamento immobiliare negli ultimi 60 anni ha seguito dei cicli che indicano una rivalutazione pari all'inflazione più lo 0,6% annuo. L'apprezzamento immobiliare del real estate alberghiero é però inferiore a quello degli immobili ad uso abitazione della medesima zona. Questo probabilmente a causa del più limitato mercato delle compravendite e degli ingenti costi di ammodernamento e manutenzione straordinaria, specialmente nella parte impiantistica, tipici degli immobili a destinazione alberghiera.
Qual'é il reddito atteso?
Stabilito un reddito atteso coerente con i tassi di rendimento su attività finanziarie prive di rischio e di pari durata, l'ubicazione dell'immobile, la qualità della controparte, rimane però il dubbio su quale sia il reddito da capitalizzare. Non può essere il canone di locazione, ma occorre dedurre l'ICI e la manutenzione straordinaria, insomma deve essere un reddito pre imposte ma effettivo, altimenti é un ricavo, non un reddito.
Il canone per il conduttore
Come abbiamo detto, il canone per il conduttore é un costo da contenere entro un massimo del 20% dei ricavi della gestione, probabilmente anche al di sotto se la struttura ha un tasso di occupazione poco omogeneo durante l'anno e quindi ha difficoltà ad ottimizzare i carichi di lavoro. La crisi del settore degli ultimi due anni ha inoltre reso ancora più difficile ottenere una redditività gestionale soddisfacente e congrua rispetto al canone.
In conclusione
Valore immobiliare, tasso di rendimento atteso e canone di locazione sono grandezze economiche strettamente correlate tra loro, due di queste variabili determinano automaticamente la terza. Se scopriamo che sono in disequilibrio allora qualcosa non va e presto ce ne dovremo fare una ragione.