venerdì 16 settembre 2016

La valorizzazione di una catena di punti vendita

La minore propensione al consumo conseguente la recessione ed la crescita delle vendite on-line hanno messo in dubbio molti aspetti del modello distributivo basato sulla catena di punti vendita monomarchio, cresciuto sensibilmente nell'ultimo decennio in tutto il settore della grande distribuzione non-food. Oggi la proliferazione dei punti vendita non comporta automaticamente un aumento del rendimento del capitale investito e dell'avviamento commerciale. Non è solo una questione contabile di analisi della redditività di ciascun punto vendita: il problema ora è capire se e come la creazione di valore attraverso una catena di punti vendita crea “Goodwill” e come misurarlo.

La misurazione tradizionale della performance di una catena di punti vendita
La performance economica di una catena di punti vendita si misura in base a metriche di volume (ad esempio volumi di vendita per mq di GLA / rotazione prodotti di ciascuna area), in base a parametri contabili (ad esempio fatturato / margine di redditività EBITDAR pre rent / utile operativo) e tramite il benchmarking rispetto a parametri di mercato (ad esempio presenze sul punto vendita vs numero famiglie abitanti nell'area di riferimento). L'obiettivo è capire se ogni punto vendita performa in misura adeguata alle potenzialità della propria location, ricordando che secondo la logica economica non conta quanto “ci fai” ma quanto “potresti farci”.
Se per Goodwill di una catena di punti vendita intendiamo l'avviamento commerciale allora è solo una questione contabile. Poco importa con quanti punti vendita si operi. Anzi secondo una logica di pura performance economica, meno sono i punti vendita, tanto più semplice la gestione: meglio avere relativamente pochi punti vendita, di grande superficie, ubicati nei bacini di utenza di rilevanza per i prodotti distribuiti. Tutto bene anzi no, perché il mondo è cambiato.

Crisi, internet e la creazione di Goodwill oggi
Con la crisi economica tende a diminuire la loyalty del consumatore verso i brand di massa e verso il punto vendita abituale. Più si diffonde l'e-commerce più diventa inutile la distribuzione fisica dei prodotti non-food durables e diminuisce l'avviamento commerciale dei punti vendita. Inoltre l'elevato costo della distribuzione viene assorbito solamente da prodotti ad elevato valore aggiunto.
Ciò che allora chiedono i produttori alla rete di distribuzione non è “solamente” volume – ricavo - servizio, ma anche e soprattutto di essere una rete che presidi la market share sul territorio e fidelizzi i clienti. Elemento discriminante è quindi la capacità della rete di creare (e mantenere) un rapporto privilegiato con la propria clientela. Il Goodwill di una catena di punti vendita, ovvero ciò che la rende attraente non solo per l'azienda ma anche per i clienti, per i produttori e persino per un competitor è quindi qualcosa di più complesso rispetto alla sola performance economica. Ma come si misura?

Definire le metriche del Goodwill
La metrica che cerchiamo deve riuscire a confrontare e misurare quanto ciascun punto vendita “vale per me” rispetto al suo costo. In termini tecnici dobbiamo misurare il value in use di ciascun punto vendita con metriche funzionali al Goodwill aziendale anzichè limitate all'avviamento commerciale.
Un'analisi su un elevato numero di punti vendita richiede inoltre criteri omogenei e trasparenti così da ottenere uno strumento che sia unico per tutta la catena; strumento che deve essere anche dinamico, possa cioè essere applicato nel tempo sia agli stessi punti vendita che a quelli di nuova apertura. L'omogeneità non deve però penalizzare l'aspetto che più ci interessa, ovvero la valorizzazione delle specificità di ciascuna location, cioè la variabile che crea valore al di là di quanto venga rappresentato dai soli dati contabili. Dobbiamo quindi utilizzare un sistema di metriche unico per tutti i punti vendita che in aggiunta ai dati reddituali e finanziari incorpori gli elementi di caratterizzazione di ciascuna location in una logica di creazione di valore di rete.
E' allora importante l'affidabilità dei dati di mercato che utilizzeremo. Il problema non è l'accuratezza dei dati (oggi ci sono istituti di ricerca di assoluta affidabilità) ma la loro rilevanza rispetto al nostro obiettivo che non coincide con quello di chi fa analisi di mercato per tipologia di prodotto e consumo: il dato che ci serve probabilmente non esiste, dobbiamo utilizzare un set dati assimilabili, che incrociamo così da ottenere un proxy del dato che vorremmo.

Per quel che vale, un esempio
La standardizzazione di metriche di misurazione del Goodwill nella grande distribuzione non-food come sopra definito è evidentemente un “non senso”. Possiamo però definire alcuni elementi costanti all'interno del processo: una precisa analisi della distribuzione del target market sul territorio, uno scoring dell'attrattività della location, la definizione della potenzialità effettiva di ciascun punto vendita e del gap attuale, l'investimento sia in Capex che in capitale umano necessario per colmarlo, il costo della location non solamente su basi economiche ma di valore prospettico di mercato, un sistema di metriche da cui creare un “algoritmo” che produca risultati di immediata comprensione e facili da utilizzare.